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Ritiro del Clero a dicembre 2022
Martedì 20 dicembre, Mons. Claudio Palumbo ha riunito il clero diocesano presso il Santuario di Canneto per il ritiro mensile e tutti noi abbiamo con grande piacere ascoltato la bella ed esauriente relazione di S.E. Rev.ma Mons. Felice di Molfetta, Vescovo emerito di Cerignola-Ascoli Satriano, sul cammino sinodale della Chiesa italiana.
La catechesi di S.E. Rev.ma Mons. Felice di Molfetta
Se c'è una beatitudine, forse dimenticata, è quella di una chiesa in uscita: slogan lanciato dal Papa e ripetuto pedissequamente oggi da vescovi e presbiteri. Slogan che dovrebbe inverare una chiesa con la missione nel DNA. Non è dunque un caso che il movimento dei primi discepoli di Gesù riceverà il nome di "quelli della via" (At 9,2; 19,9.23; 24, 14.22); laddove il termine 'via' non indica solo via di salvezza, ma forse soprattutto il carattere unico e particolare di questo nuovo gruppo, un carattere itinerante, per sua natura missionaria. E non è forse questo l'invito con cui si chiude il Vangelo di Marco: "Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura" (Mc, 16,15)? D'altronde, la dimensione sinodale, ora, nel suo termine tanto conclamata, non è il riconoscersi una comunità in cammino, l'essere insieme come compagni di viaggio, facendo propria questa dimensione di itineranza per le strade del nostro piccolo/grande mondo? L'andare sì, camminare insieme sì, senza però dimenticare l'andare di Gesù.
A tal proposito una domanda, quella di Tommaso, è servita a rivelare l'identità di Gesù: "Ego eimi he odòs kai he aletheia kai he zoe" (Gv 14,6). Badate bene che la presenza dell'articolo determinativo di fronte a ogni sostantivo e la costruzione paratattica, grazie al polisindeto, collocano i tre sostantivi sullo stesso piano, facendo pensare che il primo ho odòs, sia il termine marcato e che gli altri lo esplicitino. Ovvero "io sono la via, cioè io sono la verità, e io sono la vita", ossia la pienezza della vita in Dio. Gesù, in sostanza, è la via, quella vera, che si identifica con la verità e la vita. Ed è una via unica, che è necessario conoscere e percorrere, avendo un valore soteriologico ed escatologico. Considerando le coppie via/verità, via/vita in esse Gesù si autorivela come la Torah dei suoi e per i suoi, non nel senso moralistico e precettistico da osservare ma di una realtà ultima che accompagna il credente per tutta la vita, come dono da vivere e da celebrare. Perciò, Gesù può presentarsi come la stessa e veritiera strada della vita nella sua compiutezza.
Un imperativo della dinamica sinodale è racchiuso in: "Andate". È questo l'invito che l'Angelo del Signore rivolge agli apostoli rinchiusi in prigione, aprendo le porte. (At 5,20). Questo invito risuona ancora oggi ed è rivolto a tutti coloro che si riconoscono nella sequela del Signore e da Lui in-viati ad andare. Questo "andare" non è l'azione di un momento o solo dell'attuale circostanza sinodale, bensì è la dimensione prima del ministero messianico di Gesù, ovvero l'itineranza.
Al contrario di altri rabbi che accoglievano i loro discepoli nelle loro case o nelle loro scuole, l'andare di Gesù da un villaggio all'altro è il modo con cui Egli ha scelto di entrare in contatto con le persone.
Il suo andare non è un viaggio o un pellegrinaggio ma uno stile di vita, una nuova forma identitaria, e soprattutto un nuovo modo di porsi nei confronti del mondo e delle strutture relazionali del tempo.
È per lui l'unico modo di incontrare "gli altri" all'insegna della fiducia, della precarietà e dell'accoglienza, costruendo relazioni non legate ad un luogo, ad uno spazio ma ad un incontro che si rivelerà per ciascuna persona che lo accoglie "via verità e vita". In tal senso, non è la meta o la conclusione del viaggio, quanto l'incontro lungo il cammino, l'ascolto, l'accoglienza di altri compagni di viaggio lungo il cammino.
Se Gesù nella sua missione salvifica non vuole agire da solo né cerca il protagonismo della gloria personale, Egli desidera invece camminare insieme con i suoi collaboratori, coloro che ha scelto e chiamato a vivere con Lui; scelti non per avere la corte o per essere difeso o incoraggiato, ma per condividere con essi il suo operato.
Preziosa e programmatica è l'icona di Lc 6,12-19 in cui Gesù se ne andò sul monte a pregare pernoctans in oratione Dei. Quando fu giorno, chiamò a sé i discepoli e ne scelse 12, ai quali diede anche il nome di apostoli" (6,12-13). Le connotazioni cosmiche (notte-giorno) evidenziano il frutto di un parto, laddove al salire corrisponde il primato fondamentale della preghiera sia della missione di Gesù e sia di chi accetta di essere suo discepolo. La preghiera - in tal senso - costituisce la posizione alta, nutrita dalla Parola che permette di innescare i verbi successivi di scendere e fermarsi.
Sì, dopo averli chiamati per nome,
"discese con loro e si fermò in un luogo pianeggiante dove c'era una gran folla di discepoli venuta da tutte le parti per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie" (6,17-18).
Attenzione! La prima azione di Gesù e quella di scendere: sì, Gesù è il Dio che scende. La sua identità è espressa essenzialmente dalla scelta di "scendere" dal cielo, dal Padre, dai piedistalli della propria essenza divina; con questo verbo siamo di fronte alla kenosis, la tremenda umiliazione, lo svuotamento, l'abbassamento di Dio che si fa uomo. E non è forse questo il Natale, ormai imminente?
Non si tratta qui di una caduta, ma di un'autentica decisione di salvezza. Cristo Gesù pur essendo nella condizione di Dio scende, ossia si spoglia e si espone (cf Fil 2,5-11). Scende nella carne d'uomo per incontrare, ascoltare, sfamare. Non gli basta vedere con gli occhi, vuole toccare e lasciarsi toccare. Infatti "tutta la folla cercava di toccarlo, perché da Lui usciva una forza che guariva tutti" (6,19).
Scendere allora è il verbo dell'incarnazione, del servizio, della condivisione, della comunione. Chi è allora colui che è nato? Un apocrifo gnostico egizio del III secolo attribuito all'apostolo Filippo dice: "io divenni molto piccolo e povero perché attraverso la mia piccolezza, potessi portarvi in alto donde siete caduti. Io vi porterò sulle mie spalle". Al di là delle sdolcinature natalizie, piace ricordare che la lex orandi non si è mai impantanata nelle dispute cristologiche, ma ha sempre avuto chiaro chi è il soggetto celebrato nel Natale; perché, colui che nasce a Betlemme non è un uomo che poi sarà divinizzato, ma è il "Verbo di Dio fatto uomo", "il Salvatore del mondo". È il Verbo che, "generato dal Padre prima dei secoli cominciò ad esistere nel tempo"; è il "Verbo invisibile che apparve visibilmente nella nostra carne". Questo è il mistero della fede: il Figlio di Dio "generato nella carne, si manifestò Dio e uomo", stabilendo così "l'inizio e la pienezza della vera fede". Sicché, l'infinita distanza tra Dio e la creatura viene ad essere superata in quanto, "Dio si è fatto uomo perché l'uomo diventasse Dio" (Agostino, Discorso 13).
Consentitemi altresì in questo contesto prenatalizio, che vi ricordi che il passo più antico del Nuovo Testamento relativo alla nascita di Gesù si trova nella Lettera ai Galati laddove è scritto "Dio mandò il suo Figlio, nato da donna" (Gal,4,4). Qui, siamo probabilmente al momento più alto della Lettera: quel nato da donna, il greco dice "divenuto da donna" e la vulgata: "filium, factum ex muliere". Per la natura umana del Verbo, il Figlio è insieme Figlio dell'uomo, poiché è generato da una madre. Ciò sta a indicare che Gesù nasce davvero uomo, dal concepimento all'ingresso del mondo: una umanità come la nostra, bisognosa di cure, di attenzioni, di amore.
Negli Inni di Qumran nato da donna significa "formato di polvere", "creatura di argilla" (1QS 11,215). Fattosi uomo, Lui pure sulla nostra terra, non gli viene assicurato alcun privilegio, né gode di un'esistenza migliore della nostra ma ogni parte del nostro destino: fame, stanchezza, ostilità, angoscia di dover morire e di morte miseranda; in unum, Giobbe "l'uomo nato di donna ha vita breve e piena di inquietudine; come un fiore spunta e avvizzisce, fugge come l'ombra e mai si ferma" (Gb 14,1-2).
Un'ulteriore considerazione dalla narrazione natalizia di Luca, piace evidenziare quello che viene tecnicamente considerato l'enigma della mangiatoia. Il terzo vangelo (Lc 2, 1-20) infatti insiste tre volte sul posto in cui sua madre Maria ha deposto Gesù suo figlio:
"Lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia" (v.7);
"Un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia" (v.12);
"il bambino adagiato nella mangiatoia" (v.16).
È impensabile che una tale insistenza sia casuale, e ancor meno sia un difetto di stile. Nello stile biblico non è affatto così, anzi le ripetizioni sono importanti. Quale il significato? Chiediamoci, cosa si mette in una mangiatoia? Di certo qualcosa da mangiare. Bene, Gesù è dunque presentato fin dalla nascita come Colui che invece di divorare gli altri, si dona ad essi come cibo. Se i cattivi pastori contano le pecore - vedi il censimento dell'imperatore di Roma - è per tosarle, prendere il loro latte, e infine mangiarle. Gesù invece è il buon pastore che dà la vita per le sue pecore fino a dare sé stesso come cibo. D'altronde, la scena si svolge a Betlemme "casa del pane" e il termine "pane" significa più genericamente "cibo".
Il mistero dell'incarnazione che ci dona Gesù, esige collaborazione insostituibile: Dio ha bisogno degli uomini. Perciò tornando all'icona di Luca 6,12-19, va detto: è vero che tutta la folla cercava di toccarlo per la potenza che si sprigionava da Lui, però non vuole scendere in quel luogo da solo ma preferisce scendere in mezzo alla folla insieme con i Dodici per renderli partecipi nel vedere la salvezza sul volto delle persone, per condividere con loro le fatiche del suo agire e insegnar loro il modo con cui si sta in mezzo ai malati e ai tormentati da spiriti impuri.
Scende per fermarsi tra la gente (6,17)
Come palcoscenico della sua missione, Gesù non sceglie le vette sicure e protette. La cultura di oggi sembra preferire il mordi e fuggi, la fretta con il continuo cambiare esperienze e sentimenti. Egli spinge a scendere per abitare il tempo; uscire per abitare luoghi: tempo e luoghi per fermarsi e stare in mezzo alla gente: "una gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone, che erano venuti per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie" (6,17-18).
La tradizione cristiana occidentale ha molto sviluppato il tema del "cercare Dio" (quaerere Deum"), si dovrebbe affermare altrettanto, se non di più, il tema della ricerca dell'essere umano da parte di Dio, il suo quaerere hominem, fino a farsi umano in Gesù Cristo. È lui che per primo ha cercato, chiamato e amato noi uomini, fino al "quaerens me sedisti lassus" (Sequenza Dies irae, cf Gv 4,6).
È Lui che ci cerca e ci desidera dall'aurora del mondo, facendosi bambino per giocare con noi. E se è vero che la scrittura attesta la ricerca di Dio da parte dell'uomo ma anche la ricerca dell'uomo da parte di Dio secondo una formula paradossale della tradizione rabbinica percepita da Abraham Joshua Heschel: "Dio è alla ricerca dell'uomo". Quel Dio che fin dall'inizio è andato in ricerca di Adamo (Gn 3,9) non si smentisce nella pagina del Vangelo dove ancora ci anticipa e prende l'iniziativa dell'incontro; è questa la grande scoperta di Agostino che ha cambiato la sua vita: "per mezzo del tuo Figlio il Signore nostro Gesù Cristo ci hai cercato mentre non ti cercavamo, ci hai cercato affinché ti cercassimo" (Confessioni XI, 2,4).
Tra la gente per ascoltare.
Gesù ascolta il racconto delle malattie, avverte i tormenti di ogni genere che assillano la gente, e solo dopo interviene con gesti di guarigione, con azioni che liberano e danno consolazione. Solo dopo aver ascoltato "le tristezze e le angosce degli uomini, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono può proporre a tutti il messaggio di salvezza, perché si è reso solidale con il genere umano e con la sua storia" (GS 1).
La conclusione di questa riflessione sinodale-natalizia è che, ascoltare è il primo verbo che individua l'azione evangelizzatrice di Gesù e apre alla missione. Ascoltare allora diventa il primo verbo perché la Chiesa risponda alla sua missione, faciliti la partecipazione e crei comunione. Viene così espressa l'identità sinodale, ovvero si evangelizza camminando insieme. Attenti però ad ascoltare e ascoltarsi. Buon Natale!
Ufficio comunicazioni socialiSantuario di Canneto, 25 dicembre 2022