Commento al Vangelo
Domenica 17 novembre
Liturgia: Dn 12, 1-3; Sal 15; Eb 10, 11-14.18; Mc 13, 24-32In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra fino all'estremità del cielo. Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l'estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte. In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto però a quel giorno o a quell'ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre».
Si avvicina la fine dell'anno liturgico e il vangelo ci dice proprio dove andremo a finire; è bello saperlo, perché dice il senso del nostro cammino e ci presenta il quadro finale della storia umana. Siamo sinceri: molti di noi pensano che finirà male, per questo abbiamo paura e portiamo con timore il conto dei nostri giorni perché poi, dopo, è la fine. Invece questo vangelo è fondamentale per la nostra fede ci fa vedere il termine di tutta la storia e il termine della nostra storia personale come un incontro col Signore. Significa che non andiamo verso il nulla.
Si impara dalla parabola del fico perché tutta la realtà è una "parabola", del mistero della vita. Come un ramo tenero e le foglie che spuntano dicono l'estate vicina, così la venuta e la presenza di Gesù mostrano ormai prossimo l'ultimo tempo, perché lui è l'ultima parola della creazione e della storia. La sola cosa nuova è essere contemporanei di Gesù e la vera novità di vita è quella del vangelo. Niente può superare le parole del Signore; esse non passano perché sono sempre nuove, attuali.
Le immagini sono dell'antico testamento, ma il significato riguarda le cose nuovissime, l'escaton, il finale e l'eterno. In mezzo – e questo ci esamina e ci torchia – ci sono le parole e le parabole che spingono alla sorveglianza. Questo raccontano la storia del fico e i pensieri sulla fragilità del mondo (seguiranno le parole sull'ultima ora, la parabola dei servi e del padrone partito per un viaggio e, infine, l'esortazione alla vigilanza).
Più che le catastrofi spaventa il giudizio di Dio nei confronti di quanti ne sono colpiti. Domina la visione del Figlio che "viene sulle nubi" e che invia gli angeli suoi messaggeri a radunare da ogni angolo del mondo.
Quando sarà? Prima devono spuntare le foglie tenere del fico, poi accadranno queste cose, poi... l'unica cosa certa è che Lui è vicino, ma l'ora nessuno la conosce, per questo dobbiamo vigilare, star svegli, come sentinelle. Non lo sappiamo perché, come piccoli figli, tutto riceviamo dal Padre e siamo nelle sue mani.
Eccetto il Padre. Per scamparla bisogna fuggire e proteggersi in Lui. Tutta la vita è un rifugiarsi in Dio per trovare forza e conforto. Ci si decide e lo si fa in fretta, senza voltarsi indietro, senza portarsi appresso quello che non è essenziale. Il nostro tesoro, infatti, è già di là dove si radunerà l'intera umanità – noi, i nostri padri, i nostri figli – salvata dal sangue di Cristo e offerta all'unica paternità di Dio.
Il finale è la raccolta di tutti i giusti nel Regno del Padre, nella comunione con Dio. Per spiegare questo ultimo tempo, Gesù usa il linguaggio apocalittico, ma avverte i suoi a non volerne conoscere il momento. Conta solo essere pronti, stare in attesa, come se ogni giorno fosse il penultimo rispetto alla venuta del Signore. Il "disfacimento" drammatico dell'universo dice la sua fragilità e la radicale dipendenza dal Creatore: il cosmo è destinato a finire e nel suo destino ci sono guerre, terremoti, fame e desolazione. Le costanti tragiche della vita e della storia, tutto il buco nero del male sarà inghiottito per sempre; finalmente apparirà la salvezza di Dio.
Le grandi sofferenze – il sole e luna che si oscurano, i corpi celesti che precipitano – sono i segnali esterni che accompagnano la morte di Gesù sulla croce. Poi viene la resurrezione nella quale trovano senso tutti i patimenti degli uomini.
Dietro lo sconvolgimento del cosmo c'è un annuncio di speranza e di salvezza: l'ultima parola non è del male, ma di Dio. Questa è la visione cristiana – grazie a Gesù Cristo – della storia. Le lotte e le difficoltà sono come le doglie del parto della nuova creazione.
Alla fine ... verrà la fine, la pienezza, la luce, l'ultima compassione. Quell'ora non la conosce neanche il Figlio che condivide la nostra attesa e vigilanza. La storia è nelle mani di Dio. Anche la nostra. Non c'è spazio per l'angoscia, ma ogni ora è tempo di attesa e ogni opera è dentro il comandamento dell'amore perché anch'essa è attesa dell'incontro.
Il tempo che ci rimane non è neutro, né secondario; è carico di responsabilità perché è gravido della promessa che si realizza nella fedeltà alla Parola. Il discepolo non deve sapere altro; gli basta essere sicuro della parola del Maestro perché il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Noi sappiamo cosa dobbiamo fare. E questo ci basta. La fatica non è inutile, perché sappiamo la direzione, il fine: Gesù, il crocifisso-risorto, il Signore.
Il tempo da qui a lì, a quell'ora, è tempo di attesa, di vigilanza, di operosità, di preghiera. Anche di poesia, come questa di sr. Marie-Pierre de Chambarand: "... verrà una sera / in cui tira aria di sventura, / può darsi. / Quella sera, sulle nostre paure, / l'amore avrà l'ultima parola. / Gridate a tutti gli uomini / che nulla è compromesso / della loro speranza".
Cos'è la fine? "Quello che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla" (Lao Tzu). "Amici, mi sento / un tino bollente / di mosto dopo / felice vendemmia: / in attesa del travaso. / Già potata è la vite / per nuova primavera" (padre Turoldo).
Mons Angelo Sceppacerca17 novembre 2024