Commento al Vangelo
Domenica 10 novembre
Liturgia: 1Re 17, 10-16; Sal 145; Eb 9, 24-28; Mc 12, 38-44Diceva loro nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».
Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».
Un capitolo, il dodicesimo di Marco, che è tutto un cammino: dalla parabola della vigna affidataci alla separazione tra quello che appartiene al mondo e quello che è di Dio, dalla conferma che il vincolo nuziale è più forte della morte all'incontro con lo scriba sapiente sul cuore dei comandamenti, fino all'incontro nuovo e straordinario con Dio in Gesù: tutto porta al mistero di Gesù.
Oggi, in questo brano, Gesù si mostra particolarmente severo e critico verso gli atteggiamenti e le scelte degli scribi, piegati alle logiche del mondo e del potere, incapaci di riconoscere e affidarsi ad un Dio d'amore ed alla sua economia del dono e della comunione. La descrizione della condotta degli scribi è impietosa: vesti e saluti, primi seggi nelle sinagoghe e nei pranzi, fino al dominio sulle persone e – peggio – sui più deboli ("Divorano le case delle vedove"): una vita teatrale sotto i riflettori della pubblicità. L'opposto del Dio di Gesù e del suo abbassamento fino all'obbedienza della Croce. Farsi grandi appartiene all'idolatria. Il Padre di Gesù, si comunica nella piccolezza e la sua potenza è quella dell'amore, mostrata con il doppio comandamento.
Protagoniste della Liturgia di oggi sono due vedove, povere e generose. La miseria della donna di Sarepta è commovente. Non ha più nulla, aspetta solo la morte che arriverà per fame. Elìa chiede a quella vedova le ultime cose rimaste: un pugno di farina e un dito d'olio, ma le promette che nella sua casa non mancheranno mai più. La donna crede al profeta che parla a nome di Dio e gli impasta l'ultima focaccia.
La vedova di Sarepta ha per futuro la morte, ma non si rannicchia disperandosi. Crede ancora che Dio può capovolgere le condizioni degli uomini. Ha il coraggio della fede ed è libera di donare l'ultimo resto. Questa donna povera è così forte da mettere in crisi ogni nostra opinione sulla misura della condivisione. Non si è chiesta se Elìa avesse proprio bisogno o se "ci marciava". La promessa che farina e olio non sarebbero mai più mancati è venuta dopo.
Segue l'incontro con la vedova povera, una figura che raccoglie tutti gli incontri di Gesù in questo capitolo e li unisce in un'unica grande luce. Lei stessa diventa una stupenda immagine della Chiesa Sposa che tutta si dona a Cristo Sposo.
Tanta gente ricca lancia manciate di monete nel tesoro del Tempio. Eppure è questa vedova, secondo il calcolo di Gesù, a donare più di tutti gli altri perché non attinge al sovrappiù, ma alla miseria del "tutto quanto aveva per vivere", che sta per "tutta la sua vita". È questo il frutto che Dio aspetta dalla sua vigna, che è la Chiesa. Che sentimenti avere, anche in questi tempi, per essa?
Il Santo Papa Paolo VI alla Chiesa aveva consacrato tutta la sua vita amandola di amore appassionato. Nel pensiero alla morte parla della Chiesa. "Potrei dire che sempre l'ho amata … e che per essa, non per altro, mi pare d'aver vissuto. Ma vorrei che la Chiesa lo sapesse … Vorrei comprenderla tutta, nella sua storia, nel suo disegno divino, nel suo destino finale, nella sua umana e imperfetta consistenza, nelle sue sciagure e nelle sue sofferenze, nelle debolezze e nelle miserie di tanti suoi figli, nei suoi aspetti meno simpatici, e nel suo sforzo perenne di fedeltà, di amore, di perfezione e di carità. Vorrei abbracciarla, salutarla, amarla, in ogni essere che la compone, in ogni Vescovo e sacerdote che la assiste e la guida, in ogni anima che la vive e la illustra; benedirla". E le ultime parole di Paolo VI sono ancora per lei, come alla sposa di tutta la vita: "Le benedizioni di Dio siano sopra di te; abbi coscienza della tua natura e della tua missione; abbi il senso dei bisogni veri e profondi dell'umanità; e cammina povera, cioè libera, forte ed amorosa verso Cristo". Quest'ultima visione della Chiesa "povera e libera", richiama proprio la figura evangelica della vedova.
Non sappiamo se identica promessa del "centuplo" futuro sia stata fatta alla vedova del Vangelo. Anche lei "nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere".
Nell'avvicinarsi della Passione giganteggia la figura di questa piccola donna. È lei a suggerire la via semplice per essere graditi a Dio. Affascina la normalità del gesto con cui mette in pratica il primo comandamento – Amerai il Signore tuo Dio – e al tempo stesso si intravvede la sua speranza tutta riposta nel Signore che provvederà a nutrirla. Avendo dato tutto quello che ha per vivere, le resta solo l'amore di Dio.
Gesù, seduto di fronte al tesoro, osserva. È l'immagine escatologica del Signore che siede e giudica. A Lui non sfugge nulla, neppure il bicchiere d'acqua dato con un sorriso. Sembra niente, come quei due spiccioli della vedova; invece "è più di tutti gli altri".
Riguardo ai beni spartiti, Gesù non indica "il di più", quello che avanza ed è residuo di abbondanza, ma il necessario, pure quando è meno di una porzione. Anche la vedova del Vangelo si affida alla manna per smorzare l'angoscia sul niente che le resta per vivere. Il suo "venire" al tempio finisce in un gesto che pare abituale, ordinario; lo fa in silenzio, senza che nessuno glielo abbia suggerito, senza pensare di essere osservata. Gesù un giorno aveva detto che l'elemosina si fa proprio così, in segreto, quasi di nascosto. Il segreto del dono difende la dignità del povero che riceve. Il segreto permette la ricompensa della manna dal cielo perché, come dice Gesù, "Il Padre tuo, che vede nel segreto ti ricompenserà". Non c'è più il caso, la fortuna, ma un padre della misura di Dio.
Gesù si riconosce nel gesto della vedova. Anche lui si sta preparando alla morte. Ha consumato tutta la sua esistenza, non trattenendo nulla per sé. Gli rimangono ormai solo "due spiccioli" di vita, che presto offrirà sulla croce. Sul calvario i carnefici tireranno ai dadi la sua tunica e si spartiranno i vestiti.
Mons Angelo Sceppacerca10 novembre 2024