Riflessioni
A margine dell’anno sacerdotale
Del prete se ne parla sempre: ora bene, ora male. L’anno sacerdotale deve servire ai preti “cattivi” di convertirsi alla bontà, ai preti “buoni” di migliorarsi ancora di più. Ma anche ai fedeli laici può essere utile: per avere meno pregiudizi, per aiutare chi è in difficoltà e per collaborare generosamente ed appassionatamente con il proprio parroco, mettendo da parte la trave del pregiudizio facendola diventare pagliuzza e mai permettendo alla pagliuzza del “si dice” di diventare una trave.
Il parlar male non è retaggio solo della gente comune, lo è stato per secoli anche dei più dotti. Cito alcuni grandi interpreti della letteratura. Francesco Guicciardini, nei Ricordi, dichiarava: "Tre cose desidero vedere innanzi alla mia morte, ma dubito, ancora che io vivessi molto, non ne vedere alcuna: uno vivere di repubblica bene ordinato nella città nostra, Italia liberata da tutti e’ barbari, e liberato il mondo dalla tirannide di questi scelerati preti".
Charles Dickens: “I missionari sono un danno assoluto e lasciano ogni posto peggiore di come l'hanno trovato”.
Se ciò non bastasse, giusto per aumentare la dose per chi voglia coltivare meglio l’orto dell’anticlericalismo, ecco cosa dice oggi Frank Zappa: “Il mio migliore consiglio per tutti quelli che vogliono crescere un figlio felice e sano di mente è: tenetelo più lontano che potete dalle chiese”, o cosa scrivevaMiguel De Cervantes: ”Diffida del bue davanti, della mula dietro, del monaco da tutte le parti”.
Per fortuna molti sanno bene che il presbitero è chiamato a portare a tutti la speranza e la grazia, e la sua vita non si riduce perciò a un vuoto contenitore di fatue caramellose parole: il suo annuncio è ricco di una speranza che ha un nome, quello di Cristo, ed ha un “sapore”: quello del “pane spezzato”, come quello che permise ai due discepoli di Emmaus finalmente di riconoscere il loro Maestro.
Forse i sacerdoti non avranno mai tanto il pane necessario per sfamare tutto il popolo, non avranno da dare posti di lavoro, né raccomandazioni potenti, né facili illusioni, ma possono mettere sul tavolo del gioco della vita l’offerta disinteressata di sé, fatta di disponibilità, ascolto, compassione, affetto.
Le sue mani del Sacerdote sono le stesse mani di Gesù: mani aperte a diffondere i doni di Gesù nei contatti quotidiani con i fedeli nell'esercizio delle opere di misericordia, mani aperte piuttosto nel dare che stese per ricevere!
Gli occhi del Sacerdote sono gli occhi di Gesù: occhi che cercano il volto del Signore, occhi come raggi di sole che arrivano anche al fango e alle sozzure, ma non si sporcano perché in essi brilla la misericordia di Gesù e la dolcezza di Maria.
Il cuore di ogni Sacerdote è come il Cuore di Gesù: cuore che palpita di un solo amore, amore fedele, generoso, totale, indiviso e bruciante per Gesù, per Maria e per il popolo di Dio.
Infatti il sacerdote è un uomo particolare, depositario di un messaggio e di una carica d’amore, che possono ridare speranza ogni giorno ai tanti scoraggiati e disperati della nostra storia e della nostra terra.
E anche se, come ha affermato il Card. Emmanuel Suhard, “Fino alla fine del mondo il prete sarà il più amato e il più odiato degli uomini, il più incarnato e il più trascendente, il fratello più vicino e l’unico avversario” il suo tratto distintivo sarà sempre quello della saggezza, visto che la saggezza ha cinque strade: tacere, ascoltare, rammentarsi, progettare e poi agire.
Tutto questo a patto che vi sia sempre alla base la convinzione che la vera saggezza viene da Dio e l’astuzia solo dal diavolo e perciò qualche volta capita che, purtroppo, molti vorrebbero sposare la saggezza senza pagare poi le spese delle nozze.
Don Mimì Fazioli
di don Mimì FazioliTrivento (CB), 15 gennaio 2010