Natale del Signore - Messa dell'aurora | Commento al Vangelo

Commento al Vangelo

Natale del Signore - Messa dell'aurora

Liturgia: Is 62, 11-12; Sal 96; Tt 3, 4-7; Lc 2, 15-20Natale del Signore - Messa dell'aurora

Appena gli angeli si furono allontanati da loro, verso il cielo, i pastori dicevano l'un l'altro: «Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere».
Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.
Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.
I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro.

Per mestiere e condizione di vita, i pastori sono povera gente, abituata alla fatica, tanta, e a una vita errante. Rappresentano ogni vita vissuta con dignità, nel rispetto delle creature della natura – un rispetto autentico, e non modaiolo. Sono anche figure simboliche: vegliano nella notte e custodiscono il gregge. Figure di una misteriosa attesa, spaventati dalle voci degli angeli.

È il natale del mondo. Davanti a quella grotta tutto è possibile. Allo scrittore Erri De Luca ha ispirato parole all'altezza delle cose accadute quella notte, che egli immagina ascoltate direttamente da Miriàm, la madre. «Dell'aurora tu sorgi più bella», dice un classico canto mariano; e nelle parole del nostro autore contemporaneo scorgiamo, in punta di piedi, lei e il neonato nell'intimità dei primi istanti, tutti per loro, prima ancora delle luci del mattino.

«Iosef era uscito lasciando il coltello e il bacile. Ora toccava a me, ora dovevo fare, partorire è fare con il corpo. Mia madre mi aveva spiegato che stare distesa, un po' in discesa, aiutava. Macché, mi alzai in piedi e mi appoggiai di schiena alla mangiatoia. Dietro di me i musi dell'asina e del bue, uno di loro mi allungò una leccata sulla nuca. Avevo nelle orecchie i loro fiati. Messi insieme avevano un ritmo svelto da andatura spedita. Regolai il mio respiro sul loro. (...)

Lontano i pastori chiamavano qualche pecora persa. "È una bella notte per venire fuori, agnellino mio, notte limpida in alto e asciutta in terra. Il viaggio è finito e tu hai aspettato questo arrivo per nascere. Sei un bravo bambino, sai aspettare. Ora nasci." (...)
Parlavo e soffiavo, a un colpo più forte, una spallata di Ieshu, mi alzai di nuovo in piedi appoggiandomi alla mangiatoia. Le bestie ruminavano tranquille, c'era pace. Iosef aveva scelto un buon posto per noi. "Bel colpo Ieshu, un altro così e sei fuori, ecco ti aiuto, spingiamo insieme, le mani sono pronte a raccoglierti, via?" Via, è uscita la spalla, l'ho toccata, poi è rientrata, ma subito dopo di slancio Ieshu ha messo fuori la testa, l'ho avuta tra le mani, mi sono commossa, mi è scappato un singhiozzo e sul singhiozzo è venuto fuori tutto e l'ho afferrato al volo. L'ho alzato per i piedi per liberare i polmoni e fare spazio al primo vento che forza l'ingresso chiuso del respiro. Ieshu ha inghiottito aria senza piangere.

Ho tagliato il cordone, un solo taglio, ho fatto il nodo del sarto e ho strofinato il suo corpo in acqua e sale. Eccolo finalmente. L'ho palpato da tutte le parti fino ai piedi. L'ho annusato e per conferma gli ho dato una leccatina. "Sei proprio un dattero, sei più frutto che figlio." Ho messo l'orecchio sul suo cuore, batteva svelto, colpi di chi ha corso a perdifiato. Al poco lume della stella l'ho guardato, impastato di sangue mio e di perfezione. Mi sono stesa sotto la coperta di pelle e l'ho attaccato al seno. Il bue ha muggito piano, l'asina ha sbatacchiato forte le orecchie. È stato un applauso di bestie il primo benvenuto al mondo di Ieshu, figlio mio. Non ho chiamato Iosef. Gli avevo promesso un figlio all'alba ed era ancora notte. Fino alla prima luce Ieshu è solamente mio.» (Erri de Luca)

Mons Angelo Sceppacerca25 dicembre 2024
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