NewsAnno sacerdotale: TRA PANE E PAROLAPane e parola, due segni che sanno dire il Figlio dell’Uomo. I Vangeli, infatti, i libri della Buona Parola di Gesù sono pieni di pane. Già dalle prime battute si respira odore di forno, con quella nascita a Betlemme, la casa del pane, appunto. C’è, poi, tutto il pane diviso e moltiplicato per le folle e le ceste nelle mani dei discepoli colme di quello avanzato. Nel Vangelo di Giovanni il Cristo si racconta come pane vivo disceso dal cielo. Nei sinottici, prima ancora di spezzarsi sulla Croce si spezza nell’azzimo del cenacolo. La Parola di Gesù, il suo corpo, i gesti, che compie, hanno la fragranza del pane, la stessa capacità di saziare dell’alimento primo sulle nostre tavole, al punto che la semplice frazione del pane diventa rivelatrice della sua presenza nascosta al fianco dei discepoli smarriti.Pane e Parola sono anche due estremi dell’esperienza umana del Figlio dell’Uomo. La sua azione si consuma in una tensione continua tra pane e parola. La polarità tra questi due elementi è evidente all’alba stessa della sua vita pubblica nella prima delle tre tentazioni. Alla via seducente del pane facile, del dare pane, Gesù, fedele al progetto del Padre, preferisce quella della Parola da mangiare nell’ascolto e nell’annuncio. Dopo quella esperienza nel deserto, ogni volta che deve dare pane, il Signore si sottrae alla folla, s’allontana dal luogo del dono. Egli sa che il pane può oscurare la parola. Il gesto del dono, la sua potenza, l’essenzialità stessa del pane nella vita dei poveri, possono creare equivoci sul senso della missione del Maestro e alterare le motivazioni di coloro che lo accostano. Giovanni ci riferisce di Gesù che quasi scappa e si ritira in solitudine sul monte perché la folla, che ha mangiato il pane da lui diviso, lo cerca per farlo re (Gv 6, 15). Quando, poi, la gente riesce a scovarlo, il Signore esclama: “Mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato pane a sazietà” (Gv 6, 26). L’equivoco s’ingenera, nonostante le contromisure che Gesù è ben attento ad assumere nell’offrire pane:egli divide quanto riceve dalla folla stessa;lo spezza, ma attiva la comunità dei discepoli per la distribuzione;la folla riceve il dono organizzata in piccole comunità di cento e di cinquanta;Sono accorgimenti per rendere il gesto quanto più eloquente possibile della persona e della missione di Gesù. Eppure, il rischio dell’incomprensione resta in agguato.Pane e Parola. Annuncio e promozione umana. Vangelo e servizio della carità. Sono anche gli estremi entro cui si consuma la missione della Chiesa. Essa è chiamata ad una continua ricerca di equilibrio tra queste due realtà. Come far sì che l’impegno nella promozione umana diventi rivelatore dell’annuncio di cui la Chiesa è portatrice? Quale metodologia della carità adottare perché i gesti della condivisione diventino essi stessi annuncio di quella salvezza che Gesù deposita nelle mani dei discepoli? Come impedire che la Chiesa sia percepita come una super ong o un super assessorato ai servizi sociali? In quale modo scongiurare il pericolo che i progetti e il flusso di denaro, che essi richiedono, oscurino il progetto evangelico del Regno? Come far bene il bene, perché la carità e le strutture, ad essa funzionali, non umilino i poveri?Si tratta di domande importanti, perché far bene il bene non è facile. Non c’è una ricetta, una formula prestabilita. Il dosaggio giusto è frutto di ricerca, di sperimentazione, di preghiera e confronto continuo con lo stile missionario di Gesù e delle prime comunità cristiane. Nel vangelo di Luca c’è un episodio, che può aiutare la nostra ricerca: è quello dei discepoli di Emmaus (Lc 24, 13-35). In quel brano, è proprio il pane spezzato che permettere di riconoscere il Signore. Ma è pane spezzato dopo un cammino lungo tutta una giornata, con lo straniero che si accosta ai viandanti, li accompagna nel loro percorso, ascolta i loro interrogativi, raccoglie la loro tristezza e consuma con loro tanta Parola.Don Amedeo Cristino5 ottobre 2009Condividi pagina