Commento al Vangelo
1 dicembre - Prima Domenica di Avvento
Liturgia: Ger 33, 14-16; Sal 24; 1Ts 3, 12-4, 2; Lc 21, 25-28.34-36In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l'attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube con potenza e gloria grande. Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.
State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso improvviso; come un laccio esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra.
Vegliate e pregate in ogni momento, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che deve accadere, e di comparire davanti al Figlio dell'uomo».
«Anno dopo anno, il tempo scorre in silenzio; il ritorno di Cristo si avvicina sempre più. Se potessimo almeno avvicinarci al cielo come egli si avvicina alla terra! … Il cielo e la terra costituiscono un velo trasparente posto fra noi e Dio; verrà un giorno in cui Dio stesso strapperà questo velo e si mostrerà a noi». Così scriveva il cardinale J.H. Newman in una omelia del tempo di Avvento.
Gli avvenimenti che disorientano e spaventano, la stessa paura mortale di morire, per i cristiani sono il segno che si avvicina l'ora della salvezza. La prova accomuna l'universo, come nell'Apocalisse; ma dietro tragedie e sconvolgimenti, c'è sempre la venuta del Signore. La fede non risparmia avversità e dolori; la fede invita a perseverare rimanendo vigili e in preghiera in attesa del suo sopraggiungere.
Non è la sua presenza che dobbiamo temere, come Adamo al rumore dei suoi passi nel giardino, ma la sua assenza. È la vita che non porta da nessuna parte che spaventa fino alla morte. Chi ha investito tutto nel presente effimero vede con terrore il crollo dei suoi beni e delle sue attese. Chi ha investito tutto nel cielo vede giungere la felicità, perché viene il Signore che ci ha amato e ha dato se stesso per noi mentre eravamo ancora peccatori.
La liturgia, nei sacramenti, dice al cristiano – con assoluta sicurezza – da dove nasce e verso dove è diretto. Inizio e fine sono indissolubilmente uniti, sin dal Battesimo. La fine, d'altro canto, è il momento in cui ci raggiunge il Figlio atteso e desiderabile, a rimetterci in libertà. Solo chi è schiavo o prigioniero sa quanto vale la scarcerazione. Solo chi è consapevole delle catene del peccato sa quanta gioia porta il Figlio che spezza i ceppi versandoci il proprio sangue e ripetendoci che siamo figli anche noi: figli di Dio. I segni del timore diventano gli indizi della felicità.
I segni vanno guardati e compresi (quelli del cosmo e quelli della natura), ma soprattutto bisogna stare attenti ai segnali del cuore, perché è quello il luogo ove si giocano le questioni decisive della vita e della morte, il senso dell'esistenza. Dissipazioni e ansie per la fine gravano il cuore di piombo e accorciano il tempo. La liberazione del Figlio che viene sulle nubi è riapertura d'ali, è leggerezza d'anima, è respiro di primavera.
Mons Angelo Sceppacerca1 dicembre 2024