Commento al Vangelo
Domenica 2 ottobre
Liturgia: Ab 1, 2-3; 2, 2-4; Sal 94; 2Tm 1, 6-8.13.14; Lc 17, 5-10In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!».
Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: "Sràdicati e vai a piantarti nel mare", ed esso vi obbedirebbe.
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: "Vieni subito e mettiti a tavola"? Non gli dirà piuttosto: "Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu"? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?
Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: "Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare"».
Una fede che sposta le montagne, compatta, potente, sicura come il granito. Gli apostoli dovevano sentirne un grande bisogno. E la chiedono con forza per poter affrontare la vita che intravedevano davanti a loro: Accresci in noi la fede! Una richiesta che varca i secoli ed è anche nostra, oggi e in tutti i tempi incerti, sconvolti, debilitati e senza punti di riferimento. Si cercano miracoli e segni straordinari non per sbalordire, ma per piantare più a fondo la certezza della fede.
Gli apostoli sono sempre esigenti nelle loro richieste al Signore; questa volta gli chiedono di accrescere la loro fede per diventare subito grandi. La risposta di Gesù sorprende: non pesa la dimensione massiccia della fede, importa che ci sia e che sia fatta nostra. La fede non è solo regalo, è anche guadagno volontario. Riguardo alla fede la domanda coincide con la ricerca di almeno un briciolo di essa.
Ve ne basterebbe quanto un granello di senape. La prima risposta del Signore è semplice e dura: noi di fede non ne abbiamo per niente. Nulla, neppure un pizzico, il più piccolo acino che si possa intravedere. È chiara la sproporzione, nella fede, tra quello che può ottenere lo sforzo dell'uomo e quello che, invece, è puro dono di Dio. Gesù non aveva davanti uomini senza fede, ma individui che, per fede in lui, avevano lasciato tutto e lo avevano seguito. Gesù voleva ribadire che questa fede non era loro, ma dono di Dio, grazia per il presente e per il futuro, in grado di renderli capaci di cose anche più grandi di quelle che accadevano sotto i loro occhi.
Ne basta un granello, ma a che serve la fede? Ad avere forza di perdonare. Il perdono è possibile per la forza della fede. Ne basta poca perché la fede è sempre comunione con il Dio onnipotente.
I servi inutili non sono gli incapaci a fare, ma quelli che non reclamano meriti: tutto è grazia. Da tempo Gesù istruiva i suoi sul vero ordine dei valori quando consigliava di preferire l'ultimo posto, di invitare zoppi e ciechi. Anche le parabole della pecora smarrita, della moneta che non si trova e del figlio scappato da casa dicono che non c'è il merito nostro, ma l'amore infinito del Padre. Per questo il fratello ha diritto al perdono del fratello; il perdono è al cuore della fede ed è per questo che gli apostoli chiedono un supplemento di fede.
Meglio dire "Siamo servi senza utile, senza guadagno". La fatica dell'apostolo non si spiega con l'utile personale o il guadagno, ma per amore; la ricompensa più alta è predicare gratuitamente il vangelo (1Cor 9,18). Tutto quello che riceve è grazia. I santi ne sono modello. E Gesù, il servo obbediente, è lo stampo.
La gloria è nel finale:...e dopo mangerai e berrai tu. Il dopo è certo come lo è questa ora.
Mons Angelo Sceppacerca2 ottobre 2022