Commento al Vangelo
Domenica 18 ottobre
Liturgia: Is 45, 1.4-6; Sal 95; 1Ts 1, 1-5; Mt 22, 15-21In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi.
Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di' a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?».
Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l'iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare».
Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».
"Dicci dunque il tuo parere". È una domanda trabocchetto: qualsiasi cosa Gesù avesse risposto sarebbe stato giudicato colpevole: dicendo che era lecito sarebbe stato accusato di amicizia con Cesare, suscitando la reazione dei farisei e degli zeloti; se invece si fosse opposto al pagamento del tributo sarebbe stato incolpato di ribellione al potere romano, cosa che avrebbe irritato gli erodiani.
Il tributo di cui si parla era l'imposta diretta sulle persone istituita dall'Impero Romano, uguale per tutti, dai quattordici ai sessantacinque anni, considerata un dominio opprimente e vergognoso per gli Ebrei, poiché sottolineava la sottomissione all'autorità straniera. Gli Israeliti pagavano anche altre tasse: ai leviti e per il Tempio. Tutto appartiene a Dio: la vita degli uomini, come quella delle bestie, la terra e i suoi frutti. Tutto è dono di Dio e a Lui ritorna in offerta dalle mani dell'uomo che lo riconosce Re e Signore. Per questo la tassa pagata all'Imperatore Romano offendeva la sensibilità del pio israelita, che vi ravvisava il pericolo di idolatria.
I farisei e gli erodiani dicono a Gesù: "Tu non guardi in faccia a nessuno" e invece il Signore guarda in profondità e fino in fondo il mistero di ogni persona; anche quando evita di entrare in argomenti giuridici o politici, le sue parole ripropongono incessantemente il tema del rapporto tra Cesare e Dio.
A partire dall'immagine (ikona) e dall'iscrizione sulla moneta, si comprende come non sia poco quello che bisogna riconsegnare a Cesare; anzi, è moltissimo! Eppure è infinitamente di più quello che dobbiamo riconsegnare a Dio! A partire dalla nostra stessa persona, che proprio a motivo di Gesù, porta in sé l'immagine di Dio, fino al più piccolo e semplice gesto. Sempre siamo dinanzi a "quello che è di Dio"!
Tra l'iniziale andare dei Farisei e il conclusivo loro andarsene, in mezzo c'è l'incontro col Signore. Per i farisei non fu di salvezza, perché erano andati da Lui per metterlo alla prova, per tentarlo. Nei suoi confronti tutto parte dal cuore, dall'intenzione e dal modo in cui ci accostiamo al Signore.
Noi siamo di Dio. Non c'è niente che noi dobbiamo dare a Cesare perché l'uomo è immagine di Dio. Lo sanno bene i Farisei che chiedono "se è lecito", non "se dobbiamo". Si avverte l'orgoglio di appartenere al popolo eletto; per cui solo Dio può dare il permesso di pagare le tasse. Gesù dicendo che dobbiamo "rendere a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio" ci dice che siamo in debito verso tutti, verso Dio e verso gli uomini. Restituendo tutto a Dio, si restituisce tutto a Cesare.
I Farisei sono sconfitti dall'iscrizione su una moneta. Iscrizione si trova solo sulla croce di Gesù e dice l'appartenenza. Se noi siamo a immagine di Dio, allora il cristianesimo ci chiede di più che la sola legalità. Il modello è il Cristo in croce.
Mons Angelo Sceppacerca18 ottobre 2020