Commento al Vangelo
Domenica 8 marzo - Seconda di Quaresima
Liturgia: Gen 12, 1-4; Sal 32; 2Tm 1, 8-10; Mt 17, 1-9In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui.
Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo».
All'udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.
Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell'uomo non sia risorto dai morti».
La voce e le parole di Dio spaventano a morte i discepoli. Gesù li risuscita: "Alzatevi" (il verbo della resurrezione) e li guarisce dalla paura: "Non temete!". Dal terrore di morte alla gioia: è il mistero della pasqua. La nube ricorda quella dell'esodo (Mosè): luminosa per gli Israeliti e tenebrosa per gli Egiziani. Anche qui c'è il monte, elevato e in disparte; Gesù è il nuovo Mosè.
Domina il bagliore, il volto splende come il sole e le vesti sono sfolgoranti. Tutta la luce è della Parola; anche Mosè ed Elia, che rappresentano l'inizio e la fine della storia salvifica che si compie in Gesù, mettono in luce Lui in mezzo a loro. La teofania è di Gesù: Lui è la luce della nostra vita. La parola del Padre lo conferma.
Pietro vorrebbe fissare questa storia in un luogo (qui), ma alle tende/capanne costruite dall'uomo si sostituisce la presenza di Dio e la nube ne è il segno, la shekinah; la voce di Pietro cede a quella che viene dalla nube e che torna a pronunciare le stesse parole del battesimo di Gesù: "Questi è il mio Figlio, il prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo!".
Alla fine resta Gesù "solo" perché lui è la pienezza e il compimento. La trasfigurazione è perché i discepoli (gli stessi nel Getsemani) comprendessero e facessero esperienza della regalità di Gesù attraverso la sua sofferenza. Per un istante la Pasqua è anticipata, ma resta ancora la strada da fare per arrivarci: la croce. Si comprende la proibizione di Gesù a raccontare l'esperienza di questa visione; la si potrà capire solo dopo la sua risurrezione. Di più. La risurrezione farà capire anche chi è Giovanni Battista, chi è Mosè, chi è Elia, chi sono loro. Anche Lutero comprese bene che la scena della trasfigurazione tratta della morte, "del fatto che si deve disprezzare la morte e considerarla soltanto come un passaggio da questa abitazione di lavoro e di servizio alla gloria di una vita migliore".
La trasfigurazione è un evento riservato, tutto si compie "in disparte"; è un miracolo segreto, un contrasto tra la luminosità abbagliante e la sua riservatezza. A Pietro che voleva costruire tre capanne, Dio risponde avvolgendoli tutti nella nube della sua presenza e della sua abitazione in mezzo al popolo. La luminosità e l'ombra dice che il mistero è un dono che si può solo ricevere, non costruire con le nostre forze.
L'episodio della trasfigurazione è molto rappresentata dagli artisti, soprattutto orientali, ma non solo. Un grande pittore, Fra Giovanni da Fiesole, il Beato Angelico, un artista santo, ha lasciato delle bellissime immagini sulle pareti del Convento di S. Marco in Firenze. Fra queste, appunto, la "Trasfigurazione". È un affresco eseguito con molta cura, impiegando otto giornate, almeno il doppio del tempo dedicato agli altri misteri raffigurati nelle altre celle. Cristo, di proporzioni molto più grandi rispetto alle altre figure, apre le braccia come sulla croce, alto sopra un monticello roccioso simile al calvario, abbagliante di luce nelle sue vesti candide, al centro di una fulgida mandorla bianco crema, in un campo di ocra gialla chiarissima. La testa, in virtù della luce, ha un forte rilievo; il volto, lavorato a piccoli tocchi e con molte sfumature, incorniciato dal giallo dorato della chioma e della barba, è intenso e assorto; lo sguardo non fissa le persone presenti; è piuttosto rivolto al futuro, alla passione e alla risurrezione. Intorno a lui, immersi nella sua luce, vediamo i personaggi del racconto evangelico Mosè ed Elia e i tre discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni. Intanto, la Vergine Maria e S. Domenico si affacciano timidamente ai margini, illuminati da una luce naturale proveniente da sinistra fuori quadro: sembra che vogliano guidare il frate della cella e noi con lui a entrare nella contemplazione del mistero pasquale di morte e risurrezione e a viverlo nell'amore inteso come dono di sé, morendo al proprio egoismo per risorgere nella comunione con Dio e con i fratelli. "Contemplata aliis tradere". "Ciò che si è contemplato dobbiamo trasmetterlo agli altri". È il motto dei Frati Predicatori. In questa domenica il Vangelo della Trasfigurazione e il quadro del Beato Angelico ci fanno contemplare il mistero di Cristo. Questo mistero potremo comunicarlo agli altri nella misura in cui siamo affascinati, più che dalla bellezza artistica, da quella dell'amore di Dio che ci è venuto incontro in Gesù Cristo.
Bernanos: "Nessuno di noi saprà mai abbastanza di teologia per diventare appena canonico; ma sappiamo abbastanza per diventare dei santi". Ecco, la trasfigurazione ha innanzitutto a che fare con la santità.
Mons Angelo Sceppacerca8 marzo 2020