Commento al Vangelo
26 Giugno - SS.mo Corpo e Sangue di Cristo
Liturgia: Dt 8, 2-3.14b-16a; Sal 147; 1Cor 10, 16-17; Gv 6, 51-58 Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi lavita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».Non è un invito, ma una condizione di vita: se non… non avrete in voi la vita! Parole fuori misura, quelle di Gesù che chiede di mangiare la sua carne e bere il suo sangue. La sproporzione, però, non è data dalla provocazione, ma dall’amore che lo porta a farsi pane per nutrire e dare la vita, veramente, come sono reali e corporei la carne e il sangue. La figura del cibo, del mangiare e del bere dicono che l’uomo è insufficiente a se stesso e non ha vita se non viene nutrito, necessariamente e incessantemente.
Tutti gli altri nutrimenti sono solo immagini di questo segno che è il solo vero, il solo capace di nutrire per la vita oltre la morte, la vita eterna. Nutrirsi del corpo di Gesù per rimanere in Lui, per avere con lui la più alta e radicale forma di comunione. Una unione tanto più straordinaria quanto più enorme è la diversità fra i due: noi e il Figlio di Dio. Per questo ha avuto luogo – e carne – l’incarnazione: far partecipare l’umanità alla vita di Dio. Ancora più alta è la rivelazione del dono che è il vivere per Lui. La vita divina in noi è il nostro stesso vivere, in ogni istante, in Lui e per Lui. Nella Trinità è così. In noi può esserlo, se mangiamo la carne e beviamo il sangue del Figlio dell’uomo. La manna del deserto ne era meraviglioso segno profetico. Gesù insegnò queste cose, con un lungo discorso, nella sinagoga di Cafarnao. In un altro villaggio, Emmaus, si fece riconoscere risorto proprio nel gesto di chi spezza il pane per offrirlo da mangiare.
Jacopo Pontormo ha dipinto la Cena di Emmaus per il refettorio degli ospiti nella Certosa del Galluzzo. Gesù, seduto a mensa al centro della comunità monastica nell’atto di benedire il pane dell’Eucaristia e dell’ospitalità, si rivela improvvisamente ai due discepoli viaggiatori del racconto evangelico: quello di sinistra, tutto intento a versare il vino in un bicchiere, non si accorge ancora; invece quello di destra rimane sorpreso e per lo stupore interrompe il gesto già iniziato di tagliare col coltello una pagnotta di pane. Gli ospiti del monastero e noi con loro siamo invitati a identificarci con i due discepoli e a riconoscere la presenza del Signore sia nell’Eucaristia sia nella comunità fraterna e accogliente. Il priore del monastero volge lo sguardo verso gli ospiti del refettorio e verso di noi spettatori e alza la mano per indicare il Signore Gesù, presente nel pane eucaristico e in mezzo alla comunità monastica unita nella fraternità e aperta all’accoglienza. La vita della Trinità divina si fa presente e si rivela nella storia attraverso il corpo eucaristico e il corpo ecclesiale di Cristo, attraverso ogni comunità cristiana che sia vera comunità eucaristica.Mons Angelo Sceppacerca26 giugno 2011