Vescovo
IN MEMORIA DI DON ANTONINO SCARANO.
Eccellenza reverendissima vescovo emerito Mons. Scotti, Reverendi Canonici del Capitolo Cattedrale, Carissimi Sacerdoti, Diaconi, Religiosi/e, Fratelli e Sorelle in Cristo.
Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, / nessun tormento le toccherà … Dio li ha provati / e li ha trovati degni di sé; / li ha saggiati come oro nel crogiuolo / e li ha graditi come un olocausto (Sap. 3, 1. 5b-6).
Il cuore, mesto, e non ancora persuaso, sente il bisogno di ripetere a se stesso anzitutto queste parole del Libro della Sapienza, per poter poi dire al carissimo don Antonino quel commiato che non abbiamo potuto esprimergli al momento della sua morte avvenuta improvvisamente nella sua casa alla sera di giovedì u.s. Don Antonino ha quasi aspettato che finissimo la preghiera e l’incontro di catechesi nella chiesa di San Nicola per lasciarci tutti senza recare disturbo ad alcuno –come era nel suo stile- e per vivere questo “arrivederci” nella comune fede in Gesù Risorto: «In lui morto è redenta la nostra morte, in lui risorto tutta la vita risorge» (Prefazio pasquale II).
Vorrei dare anzitutto voce al cordoglio di tutti coloro che hanno voluto bene a don Antonino: i Vescovi, che lo hanno avuto come degno e solerte collaboratore nel campo pastorale come nel prezioso servizio amministrativo della Diocesi, i confratelli presbiteri, anche di altre diocesi viciniori, che egli ha sempre amato e stimato, i fedeli verso i quali ha profuso le sue energie e le sue doti di mente e di cuore nel servizio di annuncio del Vangelo e di santificazione sacramentale, oltre che di paternità, fraternità e amicizia disinteressate; il gruppo dei suoi amati “ragazzi”, come li definiva bonariamente, che lo hanno circondato di affetto e schietta venerazione anche nell’offrirgli collaborazione nello svolgimento delle sue delicate mansioni amministrative.
Desidero ringraziare Peppinella, in primo luogo, che lo ha amorevolmente custodito in tutti questi anni, come una mamma, assieme ai familiari tutti qui presenti, così come desidero esprimere il corale ringraziamento della Diocesi triventina, che Don Antonino ha amato con amore viscerale fino alla fine e che ha avuto in lui una sentinella vigile e premurosa anche per i suoi bisogni temporali. E il mio speciale debito di riconoscenza, per avermi accolto con tanta luce e gioia negli occhi e nel cuore nel giorno del mio ingresso in Diocesi, quando alle porte della Cattedrale mi porgeva il Crocifisso da baciare, cinque mesi or sono, per la premurosa e delicata vicinanza, sapientemente condita di sincero affetto e devozione filiale, fedeltà indiscussa, viva gratitudine per l’incarico episcopale da me accettato dalle mani del S. Padre per Trivento, mirabile spirito di retta obbedienza, di palpabile spiritualità e cultura, mai ostentate, e tanta tanta simpatia e apprezzabile senso di humour che manifestava la sua profonda serenità.
Il congedo da un sacerdote che “ha detto le parole di Dio in mezzo all’assemblea” e ha spezzato il pane dell’eucarestia, e ha unto tanta umanità sofferente con il balsamo della misericordia divina e della carità cristiana, diventa momento privilegiato per professare la nostra fede.
Nella luce della Risurrezione del Signore, fondamento della nostra fede, desidero richiamare il senso più profondo del nostro essere qui, oggi.
Siamo qui, carissimi fratelli e sorelle:
- per dire la nostra certezza di vivere oltre il tempo;
- per dire che Don Antonino vive nel Signore;
- per riaffermare la consapevolezza di un legame che sopravvive oltre la morte e ci fa dialogare con i nostri cari.
In una parola, siamo qui per vivere quella che noi cristiani chiamiamo: comunione dei santi, e, per essa, celebrare la vita del Signore risorto –incontro al quale ci porta questo tempo di Quaresima- che sarà definitivamente la nostra vita.
Ognuno di noi ha nel cuore i “suoi ricordi” di don Antonino, ognuno ha nel cuore il “suo” don Antonino.
Conoscendo don Antonino, poi, mi pare inopportuno approfittare del silenzio che la morte impone, per tessere elogi che –da vivo- egli avrebbe rifiutato con dignitosa fermezza. Poco fa ho fin troppo azzardato … ma non potevo farne a meno.
Pensando a don Antonino vorrei fare l’elogio del prete comune: quello che vive con dedizione esemplare il quotidiano, in coerenza con la propria vocazione. Quello che, come le vergini sagge di cui ci ha parlato il Vangelo, conservano l’olio nella lampada perché questa si accenda all’arrivo dello sposo. Rendo grazie al Signore perché esistono ancora molti di questi preti e sono ancora nel nostro presbiterio questi preti! Essi ogni giorno riprendono in mano il loro ministero, come dono di Dio e come impegno concreto verso i fratelli, rimanendo profondamente ancorati in un rapporto personale con Gesù Cristo, che amano con cuore indiviso, sentendosi al tempo stesso come quei “servi inutili” di cui parla il Vangelo. Sì. Preti comuni. Che lavorano tra la gente e si dedicano ad essa senza risparmio. Arrivano alla sera stanchi, avendo trovato nella giornata –quando non anche nella notte- il tempo per la preghiera, per esercitare la carità –con gesti e parole che mai nessuno, all’infuori di Dio solo, conoscerà- e anche qualche spazio per pensare e ricordarsi del senso che ha il fare tutto questo. Così riescono ad amare Dio, la loro vocazione, la propria gente. Sì. L’amore, la carità. Lo abbiamo appena sentito dalla voce dell’apostolo: Figlioli, non amiamo a parole, né con la lingua, ma coi fatti e nella verità (1Gv 3, 18). Alla fine della vita saremo interrogati sull’amore.
Don Antonino è stato un prete così.
Infine, questo momento di comune preghiera diviene per tutti noi un invito pressante a riflettere sulla vita a partire dal suo termine ultimo: la morte, oltretutto in una società che fa di tutto per ignorarla. La morte.
La consapevolezza del limite della nostra esistenza terrena ci dà la giusta misura del vivere. Se uno non pensa mai alla morte, rischia di assumere davanti alla vita e davanti ai fratelli lo sguardo arrogante di chi si sente signore e padrone. Su questa terra siamo tutti stranieri e pellegrini, nessuno vi abita in pianta stabile. Sovente la sera, al termine di giornate comunque dense di lavoro, quando reciprocamente ci salutavamo, al mio “a domani”, don Antonino puntualmente rispondeva: “se il Signore mi farà risvegliare, a domani”.
Quando ci si ritrova a riflettere sulla morte si è portati a guardare alla vita con una sensibilità diversa, una mitezza di animo che ci rende più umani.
La morte è davvero un punto di vista prospettico importante per giudicare la vita e vedere che di noi, dopo, resterà solo il bene compiuto e quello voluto.
Per il credente in Gesù Risorto, morire è un po’ come tornare a casa sentendosi attesi.. Questa esperienza umana del tornare a casa sentendosi attesi è una esperienza dolce nella vita di una persona. Quando qualcuno ne è privato, resta la memoria di quei giorni in cui ad attenderti c’era una persona cara, una luce accesa, una casa accogliente, una tavola preparata.
Orbene, presenza infinitamente rassicurante e misericordiosa è quella di Dio, che oggi accoglie don Antonino nella sua casa.
Don Antonino carissimo, tu sei ormai nell’abbraccio misericordioso di Dio, come abbiamo compreso anche dal bel sorriso che il velo di sorella morte, lungi dal coprirlo, ha invece evidenziato sul tuo volto. Ricordati di noi che siamo ancora per via e che di questa misericordia e tenerezza abbiamo -tutti- un estremo bisogno.
Pete et Roga, Antonine dilecte, pro Triventina dioecesi, pro omnibus nobis et pro ovibus quas fovisti. Vivas in Deo! Et in Deo habeas locum refrigerii lucis et pacis. Amen.
P.S.
Si uniscono alla nostra preghiera in particolare:
I Vescovi del Molise: GianCarlo, Gianfranco e Camillo; Mons. Antonio Santucci; Mons. Pietro Santoro; Mons. Salvatore Visco.
Vescovo ClaudioTrivento, 18 marzo 2018