I sacerdoti di Trivento a Molfetta | Diocesi di Trivento

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I sacerdoti di Trivento a Molfetta

I sacerdoti di Trivento a MolfettaI sacerdoti di Trivento, insieme al loro Vescovo mons. Domenico Scotti, a Molfetta, nella Cattedrale, martedì 18 maggio 2010, hanno ascoltato una bellissima e interessantissima conferenza dal titolo “La testimonianza sacerdotale di Don Tonino Bello”, tenuta dal sacerdote don Domenico Amato, ordinato 25 anni fa proprio dal Vescovo pugliese del quale di recente si è avviato il procedimento della causa canonica del riconoscimento delle virtù eroiche.

I temi ispiratori del magistero del santo vescovo e da lui riproposti continuamente nelle riflessioni fatte ai suoi sacerdoti erano: la santità contemplativa, la dinamicità del mistero Trinitario, la centralità dell’Eucaristia.

È abbastanza noto a tutti che mons. Bello, negli anni dell’episcopato, aveva posto il suo tavolo da lavoro, dove scriveva lettere, elaborava scritti, componeva discorsi e omelie, nella Cappella dell’Episcopio, nella costante presenza eucaristica. Tale scelta era dettata da veri e propri motivi di natura spirituale. Il suo lavoro, il suo impegno, il suo ministero trovano fondamento, slancio, comprensione, conforto, fiducia solo nell’Eucaristia. Da lì tutto parte e tutto converge. In questo don Tonino non fa altro che tradurre in prassi il principio della Sacrosanctum Concilium che vede nell’Eucaristia la fons e il culmen della vita cristiana.

Per don Tonino l’Eucaristia è forma ecclesiae, nel senso che la fede ecclesiale e la prassi comunitaria nascono e si nutrono dell’Eucaristia. Si veda il costante e reiterato riferimento ai testi scritturistici della istituzione dell’Eucaristia, della lavanda dei piedi e del miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. E in questa prospettiva lancia la idea di Chiesa del grembiule come chiesa eucaristica se il grembiule è ritagliato dalla stola. «La cosa più importante, comunque, non è introdurre il «grembiule» nell’armadio dei «paramenti sacri», ma comprendere che stola e grembiule sono quasi il diritto e il rovescio di un unico simbolo sacerdotale. Anzi, meglio ancora, sono come l’altezza e la larghezza di un unico panno di servizio: il servizio reso a Dio e quello offerto al prossimo. La stola senza il grembiule resterebbe semplicemente calligrafica. Il grembiule senza la stola sarebbe fatalmente sterile».

L’eredità lasciata dal presule ai suoi presbiteri si riassume in questo assioma: il presbitero è essenzialmente l’uomo ordinato alla Parola. Parola, che va intesa in tutta la sua pienezza, fino a raggiungere il punto supremo dell’efficacia, che è l’anamnesi eucaristica. Si tratta di una Parola da approfondire, di una Parola da contemplare, e di una Parola da testimoniare.

Dalla semplicità del suo stile di vita possiamo imitarlo nel saper condividere, intanto, la ricchezza di noi singoli con gli «ultimi». È necessario che ognuno faccia una revisione globale della propria vita. Forse i parametri che la sorreggono sono di fabbrica antievangelica. Occorre sorvegliarsi sulle spese, controllare il denaro che entra, stabilire quale porzione dei propri soldi dare ai poveri, sperimentare tentativi di convivenza e di cassa unica. È necessario bloccare la frenesia dell’accumulo, rendere fruibili i nostri beni inutilizzati, aprire il guardaroba chiuso, affidare le campagne incolte, popolare le case sfitte, stanziare per i poveri i redditi fissi di alcuni beni. E anche saper condividere con gli ultimi anche la ricchezza della comunità. Occorre fare chiarezza nei bilanci parrocchiali, diocesani, d’istituto. Adoperarsi perché le uscite in favore dei poveri siano più consistenti. Rivedere certe formulazioni tariffarie che danno l’impressione di una Chiesa interessata più alla borsa dei valori che alla vita dei poveri, e insinuano il sospetto che anche i sacramenti si diano dietro il compenso segnato dal listino prezzi. Studiare le forme adatte per mettere in circuito di fruibilità terreni, case, beni in genere, appartenenti alla Chiesa. Esaminare il problema di come restituire agli ultimi case religiose vuote e conventi chiusi. Eliminare lo spreco delle feste che si fanno in nome dei santi o col pretesto di onorarli. Educare chi si blocca di fronte al sospetto sistematico che sotto forme di pseudo povertà si camuffi il raggiro degli imbroglioni, che è molto meglio rischiare di mandare a mani piene nove impostori su dieci, che mandar via a mani vuote il solo bisognoso.
Questo ci aiuterà a nutrire nel grembo una forte riserva utopica e ad alimentare nel mondo quei «sogni diurni» che preludono ormai alla realtà, i poveri, dai quali dobbiamo partire per rinnovare la terra, finalmente si libereranno. E quando indosseremo la stola, il nostro «magnificat» si impregnerà di gratitudine nuova. Nell’omelia dell’ultimo giovedì santo passato con i suoi sacerdoti don Tonino, ormai minato irrimediabilmente dal male, li ringraziava e faceva leggere questo suo testamento spirituale: “Scorra allora quest’olio sul capo e sul corpo intero di tutta la nostra Chiesa. Grondi, in primo luogo, su di voi, miei cari presbiteri chiamati a essere testimoni di un mondo nuovo, condannati a vivere in un mondo vecchio che non vi capisce più, che forse vi disprezza, che forse vi discrimina, che forse vi sorride alle spalle, ma che ha bisogno inesorabilmente di voi. Delle parole di vita eterna che voi soltanto sapete pronunciare. Delle speranze indefettibili che voi più di ogni altro sapete piantare nel cuore della gente. Dei lembi di futuro che voi meglio di tutti sapete gioiosamente far balenare davanti agli occhi angosciati degli uomini. E se in questo momento è lecito rompere il ritmo della liturgia, vorrei che si levasse da tutta la Chiesa, miei cari presbiteri, un ringraziamento grande per quello che fate, per la testimonianza che date, per la lotta interiore che vivete ogni momento. Grazie per la vostra povertà. Grazie per la vostra spoliazione. Grazie per la vostra solitudine feconda. Grazie per il vostro silenzio. Grazie per il sorriso con cui nascondete spesso amarezze e delusioni. Grazie per lo sperpero generoso della vostra vita. Grazie per le vostre fatiche che nessuno, nemmeno il vostro Vescovo, riesce a capire fino in fondo. Grazie per la libertà gaudiosa con cui rinunciando a una donna vostra, alle ricchezze vostre, alle vostre scelte parcellizzate, non trasudate disprezzi o malinconie, ma testimoniate la dimensione escatologica dell’esistenza. Anche se questo spesso vi fa consapevolmente soffrire. Grazie, fratelli nostri carissimi, per la caparbietà di atleti con cui lottate per l’avvento del Regno”.Ufficio Diocesano per le Comunicazioni Sociali - Comunicato StampaMolfetta (BA), 24 maggio 2010

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