Natale | Diocesi di Trivento

Riflessioni

Natale

Saulo, sempre fremente minaccia e strage contro i discepoli del Signore, si presentò al sommo sacerdote e gli chiese lettere per le sinagoghe di Damasco al fine di essere autorizzato a condurre in catene a Gerusalemme uomini e donne, seguaci della dottrina di Cristo, che avesse trovati. E avvenne che, mentre era in viaggio e stava per avvicinarsi a Damasco, all’improvviso lo avvolse una luce dal cielo e cadendo a terra udì una voce che gli diceva: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?”. Rispose: “Chi sei, o Signore?”. E la voce: “Io sono Gesù, che tu perseguiti! Orsù, alzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare”. Gli uomini che facevano il cammino con lui si erano fermati ammutoliti, sentendo la voce ma non vedendo nessuno. Saulo si alzò da terra ma, aperti gli occhi, non vedeva nulla. Così, guidandolo per mano, lo condussero a Damasco, dove rimase tre giorni senza vedere e senza prendere né cibo né bevanda.
Ora c’era a Damasco un discepolo di nome Anania e il Signore in una visione gli disse: “Anania!”. Rispose: “Eccomi, Signore!”. E il Signore a lui: “Su, và sulla strada chiamata Diritta, e cerca nella casa di Giuda un tale che ha nome Saulo, di Tarso; ecco sta pregando, e ha visto in visione un uomo, di nome Anania, venire e imporgli le mani perché ricuperi la vista”. Rispose Anania: “Signore, riguardo a quest’uomo ho udito da molti tutto il male che ha fatto ai tuoi fedeli in Gerusalemme. Inoltre ha l’autorizzazione dai sommi sacerdoti di arrestare tutti quelli che invocano il tuo nome”. Ma il Signore disse: “Và, perché egli è per me uno strumento eletto per portare il mio nome dinanzi ai popoli, ai re e ai figli di Israele; e io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome”. Allora Anania andò, entrò nella casa, gli impose le mani e disse: “Saulo, fratello mio, mi ha mandato a te il Signore Gesù, che ti è apparso sulla via per la quale venivi, perché tu riacquisti la vista e sia colmo di Spirito Santo”. E improvvisamente gli caddero dagli occhi come delle squame e ricuperò la vista; fu subito battezzato, poi prese cibo e le forze gli ritornarono.
Rimase alcuni giorni insieme ai discepoli che erano a Damasco.
At 9,1-19

Lectio
La lettura di questo brano degli Atti può farci sottolineare anzitutto l’azione di Dio nella vita delle persone: è Lui che fa sempre il primo passo. A volte in maniera decisa, come nel caso di Saulo, altre volte in modo più discreto. Questo ci apre alla speranza più vera, specialmente nelle situazioni in cui “non c’è più niente da fare”. Ma, d’altra parte, ci spinge a prendere sul serio le chiamate che Dio ci rivolge momento per momento nella nostra vita personale e comunitaria.
Un altro tema è quello dell’incontro con Gesù Risorto che si attua attraverso la Chiesa. Non c’è differenza tra coloro che Saulo perseguita e il Risorto. Colui che lo ha accecato è lo stesso che spinge Anania e la comunità di Damasco ad accogliere il persecutore. Anania battezza, perdona e accoglie a nome della Chiesa per portare a compimento l’opera iniziata da Dio. La Chiesa, così, è il corpo del Signore Risorto presente nella storia degli uomini. Nel tempo del Natale questo tema ci conduce a scorgere la natura eucaristica della Chiesa come modello di incarnazione e la “forma mariana” del servizio ecclesiale.

Meditatio
La speranza, che è un tema chiave del Convegno di Verona, si pone a confine tra la disperazione dinanzi alla situazione dell’uomo segnata dal dolore e dalla morte e la presunzione di poter trovare la felicità e la riuscita della vita con le proprie forze. La speranza sta in mezzo: crede nella capacità dell’uomo di vincere il male ma sa anche che questa non può essere una sua opera. Per questo il Natale è la festa della speranza. Colui che ci permette di vincere l'odio che c'è nel cuore dell'uomo, Colui che può permettere il miracolo del perdono, della riconciliazione, Colui che vince ogni passione e rischiara ogni tenebra ci è donato. Dal Natale, in cui scopriamo il corpo del Signore Gesù, nasce ogni autentico anelito alla missione come condivisione di un tesoro unico, irripetibile che è stato donato a tutti. Possiamo rileggere l'esperienza di san Francesco d'Assisi proprio come segno della speranza che nasce in ogni tempo nella Chiesa e nel mondo. Una speranza che permette di non rassegnarsi al male e insieme di costruire una storia nuova a partire dall'accoglienza viva ed esigente di Cristo.
Colui che ci incontra e ci da la salvezza ha un corpo: è presente nel mondo concretamente. Questo corpo è la sua presenza eucaristica. L'anno dell'Eucaristia, in questo senso, ha risvegliato il senso e l'affetto spirituale per questo mistero grande della fede. Ma anche i cristiani, coloro che credono in Lui, sono il corpo di Cristo, la sua presenza viva. Specialmente quando sono perseguitati a causa del suo nome. E c'è poi una presenza particolare del Signore negli uomini che Egli chiama con la sua voce: i tanti Saulo che folgorati sulla strada di Damasco attendono altrettanti Anania che sappiano accoglierli, guarirli e permettergli di continuare il cammino di fede. Persone che sappiano creare ponti tra i neofiti e la comunità ecclesiale, permettendogli di superare rigidità, sospetti, paure, rancori e donandogli di accogliere nei nuovi fratelli di fede una possibilità donata da Dio per essere più fedeli alla sua Parola e alla missione. Anche qui possiamo guardare all'esperienza di san Francesco. In modo particolare all'episodio del presepe di Greccio: un modo nuovo, originale e profondamente evangelico di annunciare la speranza e di comprendere la Parola di Dio.

Oratio Salmo 39 (40)
Ho sperato: ho sperato nel Signore
ed egli su di me si è chinato,
ha dato ascolto al mio grido.
Mi ha tratto dalla fossa della morte,
dal fango della palude;
i miei piedi ha stabilito sulla roccia,
ha reso sicuri i miei passi.
Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo,
lode al nostro Dio.
Molti vedranno e avranno timore
e confideranno nel Signore.
Beato l'uomo che spera nel Signore
e non si mette dalla parte dei superbi,
né si volge a chi segue la menzogna.
Quanti prodigi tu hai fatto, Signore Dio mio,
quali disegni in nostro favore:
nessuno a te si può paragonare.
Se li voglio annunziare e proclamare
sono troppi per essere contati.
Sacrificio e offerta non gradisci,
gli orecchi mi hai aperto.
Non hai chiesto olocausto e vittima per la colpa.
Allora ho detto: «Ecco, io vengo.
Sul rotolo del libro di me è scritto,
che io faccia il tuo volere.
Mio Dio, questo io desidero,
la tua legge è nel profondo del mio cuore».
Ho annunziato la tua giustizia nella grande assemblea;
vedi, non tengo chiuse le labbra, Signore, tu lo sai.
Non ho nascosto la tua giustizia in fondo al cuore,
la tua fedeltà e la tua salvezza ho proclamato.
Non ho nascosto la tua grazia
e la tua fedeltà alla grande assemblea.
Non rifiutarmi, Signore, la tua misericordia,
la tua fedeltà e la tua grazia
mi proteggano sempre,
poiché mi circondano mali senza numero,
le mie colpe mi opprimono
e non posso più vedere.
Sono più dei capelli del mio capo,
il mio cuore viene meno.
Degnati, Signore, di liberarmi;
accorri, Signore, in mio aiuto.
Vergogna e confusione
per quanti cercano di togliermi la vita.
Retrocedano coperti d'infamia
quelli che godono della mia sventura.
Siano presi da tremore e da vergogna
quelli che mi scherniscono.
Esultino e gioiscano in te quanti ti cercano,
dicano sempre: «Il Signore è grande»
quelli che bramano la tua salvezza.
Io sono povero e infelice;
di me ha cura il Signore.
Tu, mio aiuto e mia liberazione,
mio Dio, non tardare.

Contemplatio


Actio
· Il tempo del Natale può condurci a guardare alla storia e al nostro tempo con occhi di speranza, tesi, cioè, a mettere in luce le cose buone e belle che ci sono. Nel mondo, nella nostra nazione, nella nostra diocesi, lì dove viviamo. Potremmo dedicare un incontro a raccontarci i segni dei tempi positivi che scorgiamo attorno a noi. E magari trovare il modo di dirlo anche agli altri. Il pericolo da cui guardarsi è quello del buonismo che è l'esatto opposto dell'atteggiamento di vedere solo il male. I segni che cogliamo devono essere veri, reali, concreti...
· Si può organizzare una festa, un momento di gioco, di conoscenza per permettere l'incontro tra le persone della comunità dove siamo. Soprattutto per far conoscere i volti nuovi ai vecchi, e i vecchi a quelli nuovi.

NATALE SAN FRANCESCO D’ASSISI
INCONTRO COL RISORTO COME INCONTRO VIVO COL SUO CORPO
Nel suo 'Testamento' scritto poco prima di morire, Francesco annotò: “Nessuno mi insegnava quel che io dovevo fare; ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo il Santo Vangelo”. E’ considerato il più grande santo della fine del Medioevo; una figura sbocciata completamente dalla grazia e dalla sua interiorità, non spiegabile per niente con l'ambiente spirituale da cui proveniva. Ma proprio a lui toccò di dare la risposta agli interrogativi più profondi del suo tempo. Avendo messo in chiara luce con la sua vita i principi universali del Vangelo, con una semplicità e amabilità stupefacenti, senza imporre mai nulla a nessuno, ebbe un influsso straordinario, che dura tuttora, non solo nel mondo cristiano ma anche al di fuori di esso.
L'ideale missionario
Francesco non desiderò solo per sé e i suoi frati, l'evangelizzazione del mondo cristiano deviato dagli originari principi evangelici, ma anche raggiungere i non credenti, specie i saraceni, come venivano chiamati allora i musulmani. Se in quell'epoca i rapporti fra il mondo cristiano e quello musulmano erano tipicamente di lotta, Francesco volle capovolgere questa mentalità, vedendo per primo in loro dei fratelli a cui annunciare il Vangelo, non con le armi ma offrendolo con amore e se necessario subire anche il martirio. Mandò per questo i suoi frati prima dai Mori in Spagna, dove vennero condannati a morte e poi graziati dal Sultano e dopo in Marocco, dove il gruppo di frati composti da Berardo, Pietro, Accursio, Adiuto, Ottone, mentre predicavano, furono arrestati, imprigionati, flagellati e infine decapitati il 16 gennaio 1220. Il ritorno in Portogallo dei corpi dei protomartiri, suscitò la vocazione francescana nell'allora canonico regolare di S. Agostino, il dotto portoghese e futuro santo, Antonio da Padova. Francesco non si scoraggiò, nel 1219-1220 volle tentare personalmente l'impresa missionaria diretto in Marocco, ma una tempesta spinse la nave sulla costa dalmata, il secondo tentativo lo fece arrivare in Spagna, occupata dai musulmani, ma si ammalò e dovette tornare indietro, infine un terzo tentativo lo fece approdare in Palestina, dove si presentò al sultano egiziano Al-Malik al Kamil nei pressi del fiume Nilo, che lo ricevette con onore, ascoltandolo con interesse; il sultano non si convertì, ma Francesco poté dimostrare che il dialogo dell'amore poteva essere possibile fra le due grandi religioni monoteiste, dalle comuni origini in Abramo.
Il presepe vivente di Greccio
La notte del 24 dicembre 1223, Francesco si sentì invadere il cuore di tenerezza e di slancio: volle rivivere nella selva di Greccio, vicino Rieti, l'umile nascita di Gesù Bambino con figure viventi. Nacque così la tradizione del Presepio, che sarà ripresa dall'arte e dalla devozione popolare lungo i secoli successivi, con l'apporto dell'opera di grandi artisti, tale da costituire un filone dell'arte a sé stante, comprendenti orafi, scenografi, pittori, scultori, costumisti, architetti.
Il suo Calvario personale
Ormai minato nel fisico per le malattie, per le fatiche, i continui spostamenti e digiuni, Francesco fu costretto a distaccarsi dal mondo e dal governo dell'Ordine. Nell'estate del 1224 si ritirò sul Monte della Verna (Alverna) nel Casentino, insieme ad alcuni dei suoi primi compagni, per celebrare con il digiuno e intensa partecipazione alla Passione di Cristo, la “Quaresima di San Michele Arcangelo”. La mattina del 14 settembre, festa della Esaltazione della Santa Croce, mentre pregava su un fianco del monte, vide scendere dal cielo un serafino con sei ali di fiamma e di luce, che gli si avvicinò in volo rimanendo sospeso nell'aria. Fra le ali del serafino, Francesco vide lampeggiare la figura di un uomo con mani e piedi distesi e inchiodati ad una croce; quando la visione scomparve lasciò nel cuore di Francesco un ammirabile ardore e nella carne i segni della crocifissione; per la prima volta nella storia della santità cattolica, si era verificato il miracolo delle stimmate. Disceso dalla Verna, visibilmente dolorante e trasformato, volle ritornare ad Assisi; era anche prostrato da varie malattie, allo stomaco, alla milza e al fegato, con frequenti emottisi, inoltre la vista lo stava lasciando, a causa di un tracoma contratto durante il suo viaggio in Oriente.
Il lungo declino fisico, il “Cantico delle creature”, la morte
Dopo le ultime prediche all'inizio del 1225, Francesco si rifugiò a San Damiano, nel piccolo convento annesso alla chiesetta da lui restaurata tanti anni prima e dove viveva Chiara e le sue suore. E qui egli compose il “Cantico di frate Sole” o “Cantico delle Creature”, ove contempla sotto ogni creatura l'adorabile presenza di Dio. Se la fede gli aveva fatto riscoprire la fratellanza universale degli uomini, tutti figli dello stesso Padre, nel 'Cantico' egli coglie il legame d'amore che lega tutte le creature, animate ed inanimate, tra loro e con l'uomo, in un abbraccio planetario di fratelli e sorelle che hanno un solo scopo, dare gloria a Dio.
Francesco accettò di sottoporsi alle cure dei medici, ma nell'estate del 1226 si fece evidente il sorgere di un'altra grave malattia, l'idropisia. I frati, visto l'aggravarsi delle sue condizioni, decisero di trasportarlo ad Assisi e su sua richiesta all'amata Porziuncola, dove a tarda sera del 3 ottobre 1226, Francesco morì recitando il salmo 141, adagiato sulla nuda terra, aveva circa 45 anni.
Le allodole, amanti della luce e timorose del buio, nonostante che fosse già sera, vennero a roteare sul tetto dell'infermeria, a salutare con gioia il santo. La mattina del 4 ottobre, il suo corpo fu traslato in processione dalla Porziuncola alla chiesa parrocchiale di S. Giorgio ad Assisi, dove era stato battezzato e dove aveva cominciato nel 1208 la predicazione. Lungo il percorso il corteo si fermò a San Damiano, dove la cassa fu aperta, affinché santa Chiara e le sue “povere donne” potessero baciargli le stimmate. Nel 1230 venne portato nella Basilica inferiore, costruita da frate Elia, diventato Ministro Generale dell'Ordine. Intanto il 16 luglio 1228, papa Gregorio IX a meno di due anni dalla morte, proclamò santo il Poverello d'Assisi, alla presenza della madre madonna Pica, del fratello Angelo e altri parenti, del vescovo Guido di Assisi, di numerosi cardinali e vescovi e di una folla di popolo mai vista, fissandone la festa al 4 ottobre.

Don Angelo Sceppacerca23 dicembre 2006

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