Commento al Vangelo
Domenica 22 settembre
Liturgia: Sap 2, 12.17-20; Sal 53; Gc 3, 16-4, 3; Mc 9, 30-37Partiti di là, attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell'uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servitore di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».
Gesù sta andando a Gerusalemme per vivere la sua Pasqua di morte e resurrezione. È la seconda volta che lo ha annunciato. E loro, i discepoli, cosa fanno? Discutono su chi sia il più grande tra di loro. La pasqua di Gesù è l'ultimo avvenimento nel tempo ma il primo nel valore per la vita. I discepoli non comprendono il rovesciamento dei valori operato da Gesù su quello che conta e quello che non serve; temono perfino di porre domande. Mentre i suoi sognano altre strade di onore e grandezza, Gesù cammina verso la massima umiliazione, quella della croce.
Gesù torna ad insegnare ponendo dinanzi ai discepoli il segno di un bambino. Lo abbraccia perché è segno suo; lui è il segno del Padre che lo ha mandato e il bambino è segno della tenerezza di Dio e dell'obbedienza filiale del suo unigenito. Obbediente fino ad essere crocifisso tra i malfattori. È un bambino piccolo, ma è segno di Lui che viene da Dio; e le parole che pronuncia («Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato») sono cariche di grande rivelazione. Il bambino posto in mezzo e abbracciato è allo stesso tempo immagine del Cristo, immagine del cristiano e immagine di Dio. Accogliere il bambino nel nome del Cristo è ricevere il mistero stesso di Dio.
Cosa non daremmo per poter rivedere quell'abbraccio con cui Gesù stringe a sé un bambino. E allora sarebbe più facile comprendere che accogliere Dio è come l'abbraccio di un bambino. La tenerezza non è mai sdolcinata; tantomeno quella di Dio. Poco prima di quella carezza a un bambino Gesù aveva mostrato la consapevolezza della propria uccisione, ma anche la certezza della propria resurrezione. Ecco da dove nasce la tenerezza di Dio: da un amore totale, fino in fondo, fino alla morte in croce; un amore di Dio, che non si lascia soffocare dalla morte, ma riporta alla vita, rinnova, fa risorgere. Dinanzi a questo amore, che è infinita umiltà, le dispute tra i discepoli su a chi spettasse il primato, fanno evidente quanto le vie degli uomini siano lontane da quelle di Dio. Per arrivare al regno di Dio ci vuole tanto; ci vuole umiltà, povertà, dolcezza. E mai nessun programma politico o ideologico ha contemplato queste "strategie", tutt'altro: orgoglio, ricchezze, onori, potere. Ma carichi di queste cose non si riuscirà mai ad abbracciare un bambino. Tantomeno Dio.
In questa parte del Vangelo di Marco Gesù istruisce i suoi discepoli in forma privata, riservata, confidenziale. Le cose che dice loro dovranno restare nascoste fino a quando l'istruzione dei discepoli non sarà completata e il mistero del Messia interamente svelato. Anche se, nel tempo, viene prima la passione e la morte, il primato però spetta alla resurrezione. È al mattino di Pasqua che l'annuncio sarà completo in tutte le sue parti: c'è un Dio, il solo, che ci ama fino alla follia della croce, che non ci lascia nel sepolcro della disperazione, ma ci rinnova e ci risana con la speranza di una vita eterna – oltre la morte – e già piena nella comunione e nella fraternità – prima della morte.
I discepoli parlano tra loro sui posti del potere e a chi appartengono. Oppure, più in positivo, sul desiderio comprensibilissimo di poter "essere il più grande". Gesù invece sta spiegando loro – e solo a loro! – che è possibile, nell'abbraccio tenero di un Dio fatto uomo, poter dire alla persona amata: "Tu non morirai mai!". Dinanzi al pensiero della morte è tragicomico pensare e desiderare di essere più degli altri. Se non basta il Vangelo a riportare misura alle nostre ambizioni, ci pensa F. Nietzsche, in un testo che si riferisce al tempo della sua permanenza a Genova: "Per tutti questi esseri tumultuosi che vivono e hanno sete di vita ci sarà tanto silenzio. Alle spalle di ognuno sta la sua ombra, la sua cupa compagna di viaggio, la morte che per ognuno si avvicina! ... E tutti pensano che il prossimo futuro sia tutto e ognuno vuole essere il primo in questo futuro, eppure è morte, è silenzio di morte, l'unica cosa sicura e a tutti comune in questo futuro. Come è strano che questa unica sicurezza e solidarietà non abbia quasi nessun potere sugli uomini e che essi siano ben lontani dal sentirsi quasi la confraternita della morte".
In casa, Gesù conversa con i discepoli; le sue parole – i "detti di Gesù" – scrivono la regola della nuova comunità che inizia con quel gruppo. Prima viene l'annuncio della passione, poi alcuni contenuti della sequela; la prima non è compresa e Gesù deve sempre tornare a spiegare come alla sua vera umanità ("il Figlio dell'uomo") è legato il destino di morte e resurrezione ("una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà"). La sua morte è cosa reale. Sembrerebbe una sconfitta, ma la missione di Gesù è feconda: il gruppo di discepoli porterà il messaggio di Cristo, la sua presenza risorta e viva.
Gesù si siede nella casa – intimità, delicatezza e calore familiare – e colloquia con i suoi; non li rimprovera, ma insegna la direzione pasquale della vita, il modo nuovo di essere primi. E l'abbraccio al bambino spiega come l'accoglienza di qualunque piccolo sia accettazione di Lui e del Padre.
Il Vangelo di oggi non parla di bambini e nemmeno di successo. Quello che è in gioco è il "segreto messianico", ossia la vera natura di Gesù, la sua identità nascosta. Lo svelamento avverrà nella resurrezione, ma anche allora Dio si conserverà umile. La resurrezione di Gesù, infatti, non sarà un prodigio evidente per ogni uomo e per ogni tempo. Se lo fosse, dove sarebbe la libertà della fede? E, soprattutto, non potremmo ancora credere nell'umiltà di Dio. Nel suo abbraccio tenero di padre.
Papa Francesco, nell'omelia a Plaza de la Revolución (L'Avana), disse: "Chi è il più grande? Gesù è semplice nella sua risposta: Chi vuole essere grande, serva gli altri, e non si serva degli altri! … Servire significa, in gran parte, avere cura della fragilità. Servire significa avere cura di coloro che sono fragili nelle nostre famiglie, nella nostra società, nel nostro popolo … Questo farci carico per amore non punta verso un atteggiamento di servilismo, ma al contrario, pone al centro la questione del fratello: il servizio guarda sempre il volto del fratello, tocca la sua carne, sente la sua prossimità fino in alcuni casi a "soffrirla", e cerca la promozione del fratello. Per tale ragione il servizio non è mai ideologico, dal momento che non serve idee, ma persone".
E concluse: "Chi non vive per servire, non serve per vivere".
Mons Angelo Sceppacerca22 settembre 2024