Commento al Vangelo
21 aprile - IV Domenica di Pasqua
Liturgia: Atti 2,14-36-41; 1Pietro 2,20-25; Giovanni 10,1-10In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».
Siamo sempre nel tempo di Pasqua. Domina la figura del Signore Gesù, il crocifisso risorto. Ma il Vangelo di oggi ce lo mostra nell'immagine concreta e familiare del pastore. I pastori, l'ovile, le pecore... figure molto vicine al concetto di popolo di Dio che il Concilio ha usato per qualificare la Chiesa. E gregge, se possibile, dice più che popolo, perché oltre al cammino indica anche la direzione e la guida. È per questo che il Vangelo afferma soprattutto la signoria di Gesù e la sua centralità in seno alla Chiesa: tutto esercitato nell'amore.
Un pastore tenero e appassionato, che ha i tratti più dello sposo che del guardiano del gregge, è anche l'immagine e il modello di tutti i pastori che, nel tempo, lo hanno rappresentato. "Anche Pietro è pastore" – scriveva sant'Agostino – ma non come Gesù, perché le pecore appartengono al Signore, non a Pietro. Questo significa che Pietro non sostituisce, ma rende presente il pastore! E questo avviene sempre nella Chiesa: quando si proclama la Parola, quando si celebrano i Sacramenti, quando si vive la carità: lì è sempre presente Cristo che opera. Gesù, unico ed eterno sacerdote tra Dio e gli uomini, è sempre la porta dell'ovile. Appartenergli significa riconoscere l'eco della sua voce in chi pasce in suo nome, ma anche partecipare al suo cuore di pastore, lasciandosi prendere e sopraffare dalla sua stessa compassione per i vicini e i lontani.
Dopo la guarigione del cieco dalla nascita, che ha provocato la dura opposizione dei farisei, Gesù parla di se stesso come del "buon pastore". Ai farisei ciechi, che pretendevano di essere le guide del popolo, Gesù mostra la loro cecità e propone se stesso come il vero pastore che conduce verso la libertà i suoi fratelli. Sullo sfondo del discorso di Gesù c'è un'immagine familiare in Palestina: a tutti era chiaro il rapporto esclusivo che c'è tra il gregge e il suo pastore, figura di quello tra il re e il suo popolo, simile a quello tra Dio e i suoi fedeli. È l'antica figura del re pastore. Anche Abramo e i patriarchi erano pastori; Mosè, Giosuè e Davide sono chiamati pastori del popolo, che loro guidano in nome di Dio. La vita del pastore si spiega con quella delle pecore e la vita delle pecore dipende da quella del pastore.
Per la maggior parte di noi, oggi, è desueta e poco gradita l'immagine dell'uomo-pecora, che segue un pastore, perché l'uomo si percepisce come essere libero. In realtà, però, gli spazi lasciati alla nostra libertà sono sempre più ridotti. I mezzi di comunicazione, tanto per citare alcune delle nuove "guide", impongono veri e propri modelli culturali e comportamentali, limitando di fatto la libertà.
Gesù propone un modello alternativo, decisamente. Ciò che dobbiamo imitare non sono i desideri degli altri, ma quelli del Padre, che non è rivale di nessuno. Proprio Gesù, che è il Figlio e conosce l'amore del Padre, si propone come il vero pastore, il pastore-bello alla cui sequela diventiamo ciò che siamo: figli del Padre e fratelli fra di noi. Ai falsi pastori che diffondono la cultura dell'aggressione, della competizione, della rivalità e della violenza, Gesù oppone la sua persona di pastore che porta la cultura della fraternità e dell'amore. E, finalmente, anche la nostra vita potrà essere libera e bella.
Buon-pastore sta per pastore-bello. Bello perché vero, autentico, buono. È questa la bellezza che salverà il mondo. La contrapposizione tra Gesù e i mercenari sta nella risposta a questa domanda: quanto t'importa delle pecore? Le pecore sono di chi dà la propria vita per loro. Gli altri, che non conoscono le pecore perché non le amano, sono i briganti, i mercenari. La questione, allora, non è su chi sia il vero pastore, ma chi è per noi Gesù Cristo. Anche stavolta si giunge alla questione cruciale, alla domanda sulla fede.
Non dimenticherò mai questo piccolo racconto. Un giorno una pecorella trovò un buco nel recinto. Curiosa, vi passò, pensando di essere finalmente libera. Saltava felice per i campi, i prati, i boschi, senza più limiti o costrizioni... All'improvviso, però, si vide inseguita da un lupo. Corse e corse, senza fiato e col cuore in gola, quando, ormai spacciata in un crepaccio del terreno, si sentì sollevata in braccio dal Pastore che con ansia l'aveva cercata e, commosso, l'aveva ritrovata, portata in salvo. E nonostante molti consigliassero di farlo, il pastore non riparò il buco nel recinto.
Mons Angelo Sceppacerca21 aprile 2024