Commento al Vangelo13 aprile - Giovedì Santo (In coena Domini)Liturgia: Es 12, 1-8.11-14; Sal 115; 1Cor 11, 23-26; Gv 13, 1-15E’ con questa Messa che inizia il Triduo pasquale perché si fa memoria dell’ultima Cena in cui il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, amando sino alla fine i suoi che erano nel mondo, offrì a Dio Padre il suo Corpo e Sangue sotto le specie del pane e del vino e li diede agli Apostoli in nutrimento e comandò loro e ai loro successori nel sacerdozio di continuarne l’offerta.Secondo un’antichissima tradizione della Chiesa, in questo giorno sono vietate tutte le Messe senza il popolo. I libri liturgici consigliano che la Messa “In Coena Domini”, con la partecipazione piena di tutta la comunità, si celebri sul far della sera. Solennità e intimità per rivivere, insieme a Gesù, le ultime ore della sua vita trascorse con i suoi discepoli e durante le quali il Signore dice e fa le più grandi cose della sua esistenza: istituisce l’Eucaristia (“questo è il mio corpo... questo è il mio sangue”) e il sacerdozio ministeriale (“fate questo in memoria di me”) mostrando ai dodici come bisogna viverlo (“Se Io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri”); lascia il Suo comandamento (“Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri”) e il suo testamento (“Padre, coloro che mi hai dato siano una cosa sola, come noi e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me”). In una parola, come dice Giovanni, “dopo aver amato i suoi, li amò sino alla fine”. In questo “fino alla fine” c’è la misura fuori ogni misura, temporale e quantitativa: fino all’ultimo istante, fino all’ultima goccia di sangue. Di più non era possibile, neppure a Dio!Sempre in quell’ultima Cena – che da allora prenderà il nome di Gesù: In Coena Domini, nella cena del Signore! – Gesù conoscerà anche il più ingiusto dei dolori, il bacio di Giuda che lo vende per quattro soldi, perché in ogni cena eucaristica i preti d’ogni tempo ricordino di essere, contemporaneamente, l’altare, la vittima e il sacerdote. Non si comprende appieno il cristianesimo se non si partecipa a questa “Cena”. Nelle splendide cattedrali o nelle più modeste parrocchie di periferia. Ovunque una comunità si raccoglie il giovedì santo, sul far della sera, lì si sente ancora il clima del cenacolo.Chi è Dio? Solo l’apostolo Giovanni, che durante quella cena aveva il capo appoggiato sul petto del Signore, fino a sentirne i battiti del cuore, ha osato rispondere a questa domanda. E ha scritto: “Dio è amore”. Così si esprime un maestro dello spirito: “L’amore, qui, non è un attributo, neppure il primo, di Dio. Qui l’amore è il soggetto, Dio. Tutti i suoi attributi, allora, sono gli attributi dell’amore. E’ l’amore che è onnipotente, sapiente, libero, buono e bello”.Padre Maurizio, missionario comboniano, ha chiesto ai suoi cristiani se è più difficile lavare o farsi lavare i piedi. I pareri sono stati discordi. "Abbiamo così lavato i piedi al nostro vicino, cosicché tutti abbiamo lavato e siamo stati lavati. In assoluto silenzio: ognuno capiva bene cosa stava succedendo. Ho poi detto loro che oggi era il mio compleanno e quello di tutti i preti del mondo. Mi hanno battuto le mani e poi hanno portato all'altare i doni danzando. Anche Nakato, una ragazza malata di Aids e che a stento si regge in piedi, si è unita nella danza. Senza farmi vedere, mi sono asciugato le lacrime".Mons Angelo Sceppacerca13 aprile 2017