13 aprile - Domenica delle Palme e della Passione | Commento al Vangelo

Commento al Vangelo

13 aprile - Domenica delle Palme e della Passione

Liturgia: Is 50, 4-7; Sal 21; Fil 2, 6-11; Lc 22, 14-23, 5613 aprile - Domenica delle Palme e della Passione

Chi oggi va a messa, vedrà che si inizia fuori dalla chiesa, con la processione delle palme, segno liturgico del trionfo del Signore e introduzione al racconto della sua passione.

Tutti a chiedere spiegazioni sul dolore e sulla sofferenza, dimenticando che "Dio non è venuto a spiegare la sofferenza: è venuto a riempirla della sua presenza" (Paul Claudel). Si esce dall'agonia e dall'angoscia solo alla condizione di trovarvi Dio. I cristiani, allora, non sono inviati nel mondo come ambasciatori della croce, ma come testimoni della sua resurrezione, di un amore così grande da superare ogni dolore e attraversare ogni morte. Un amore "fino alla fine".
Istruzioni per l'uso e la lettura sono quelle riportate dall'evangelista Luca: pregare per non soccombere nella prova. Un imperativo messo all'inizio e alla fine del racconto evangelico.

Più forti sono la fatica e la lotta, l'agonia e l'angoscia, più vigorosa si fa la preghiera. Gesù si aggrappa al Padre per vincere la gara decisiva. Agonia non è solo angoscia, è la tensione dell'atleta prima della gara e del soldato che combatte per la vita contro la morte. Una lotta che ha nel Getsemani il luogo del massimo spasimo, quello degli ultimi metri nella corsa. E Gesù è colto così, teso fino allo spasimo.

Sant'Ambrogio coglie nel segno e dice che Gesù "non ha preso l'apparenza dell'incarnazione, ma la realtà: doveva quindi prendere anche il dolore, per trionfare sulla tristezza, non per sfuggirla" al punto tale che "la Passione del Signore ha degli imitatori, non degli uguali". Un particolare fra i molti. Quanta dolcezza mostra Gesù verso lo stesso Giuda: "con un bacio tu tradisci il Figlio dell'Uomo", come a dire "mi tradisci con un segno dell'amore?".

Anche la debolezza di Pietro è un insegnamento per tutti. La sua fragilità mostra l'impossibilità di resistere contando solo sulle nostre forze. Le lacrime di pentimento di Pietro lo trasformeranno e ad uno che sembra di non saper condurre neppure se stesso, verrà affidato il compito di guidare gli altri fratelli. Le lacrime di Pietro solo quelle di chi, nella Chiesa, arriva a pentirsi dei peccati. Ha iniziato il ladrone santificato sul palo e ancora inchiodato al legno. Gode della promessa del Signore in modo immediato, "oggi stesso".

Il viaggio di Gesù verso Gerusalemme sta per giungere al termine. Dopo Gerico, le ultime due tappe sono Betfage e Betania. Qui si svolge un'azione dal significato simbolico, profetico. Gesù manda due discepoli a prendere un puledro di asina, per entrare in Gerusalemme a dorso di esso. Il simbolo è quello della regalità mite e pacifica di Gesù; ma una regalità contestata e rifiutata.

Cosa c'è di importante in questo montare un puledro d'asina? C'è l'antica profezia: "Dite alla figlia di Sion: ecco il tuo re viene a te, mite, seduto su un'asina". Nei tempi antichi d'Israele era cavalcatura dei principi, dei re. Il cavallo invece rappresenta l'animale per la guerra, espressione di forza e non di mitezza. Il re che entra in Gerusalemme non la conquista con le armi, ma col servizio e il dono di sé; la sua umiltà conquisterà i popoli.

Un re che non ha neppure un asino; lo deve chiedere in prestito. È un re che si fa povero per arricchire noi. Lui si fa mendicante al punto che i discepoli dicono al padrone del puledro: "Il Signore ne ha bisogno!". È davvero il servo umiliato che si prepara a soffrire. La sua salita sul trono regale della croce è ormai vicina; lì sarà il principe della pace.

La gioia dei discepoli – come quella di Zaccheo che l'aveva da poco preceduta – nasce dall'intuizione del gesto di Gesù e contrasta con la reazione dei farisei che contestano la pretesa regalità, come quelli che prima lo avevano criticato per essere andato a casa di Zaccheo.

Nella notte del Getsemani, Gesù attraversa tutte le notti dell'uomo; attraversa la notte della morte assurda fino all'esperienza dell'abbandono di Dio. Per questo siamo salvi, perché Lui è passato attraverso queste notti. E in queste nostre notti troviamo Lui che è lì per portarvi la luce di Dio.

Colui che per noi è diventato simile a noi diceva a Dio suo Padre: non la mia, ma la tua volontà, volendo Lui che era Dio per natura, compiere anche come uomo la volontà del Padre. Se egli si consegnò liberamente come colpevole alla Passione e alla morte, facendosi responsabile per noi che eravamo veramente meritevoli di soffrire fino alla morte, è chiaro che Egli ci ha amati più di sé stesso. (Massimo il Confessore).

I miei giorni camminano / davanti ai Tuoi / e danno loro un senso.
Essi Ti hanno strappato / alla Tua dimora eterna / facendoTi / il primogenito dei perduti.
Tu ora non sei / che un nostro fratello, / hai sofferto in Te / ogni nostro dolore.
Noi ti sentiamo vicino / nel Tuo lamento / e nel Tuo pianto / sulla fossa di Lazzaro.
Ora la nostra carne non Ti abbandona; / sei un Dio che si consuma / in noi. Un Dio / che muore.
(D.M. Turoldo)

Mons Angelo Sceppacerca13 aprile 2025
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