5 gennaio - Seconda Domenica dopo Natale | Commento al Vangelo

Commento al Vangelo

5 gennaio - Seconda Domenica dopo Natale

Liturgia: Sir 24, 1-4.12-16; Sal 147; Ef 1, 3-6.15-18; Gv 1, 1-185 gennaio - Seconda Domenica dopo Natale

In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l'hanno vinta.
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me
è avanti a me,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.

Identificato nella figura dell'aquila, Giovanni è l'apostolo prediletto, l'evangelista delle altezze e delle visioni vertiginose. Il prologo del suo Vangelo, che ascoltiamo nella Messa di oggi, ne è il modello.

Il Prologo contiene le grandi verità della fede: la preesistenza divina del Verbo Figlio di Dio, eterno insieme al Padre; l'incarnazione del Verbo e l'adozione a figli di Dio di coloro che credono in lui. Gesù è la grande luce che ha rischiarato le tenebre che avvolgevano il mondo. Tenebre di egoismo, di violenza, di morte, di peccato. Eppure il mondo non l'ha riconosciuto. Solo alcuni hanno accettato la sua luce e l'hanno riconosciuto: questi sono chiamati figli di Dio. Come in un quadro a forti contrasti di luce e ombra, fin dal Prologo Giovanni pone Gesù come pietra di inciampo, come Colui dinanzi al quale bisogna operare le scelte fondamentali della vita. Non si può rimanere indifferenti. Giovanni, fra la luce di Dio e le tenebre del mondo, pone la carne di Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo come noi, carne della nostra carne (nostrae carnis Deus caro factus esset, scriveva Ilario di Poitiers). Se Dio ha assunto la nostra carne, vuol dire che ogni nostra esperienza è stata vissuta, con-divisa da Lui. Ogni povertà, debolezza, solitudine, fame, malattia. Ma anche ogni nostra gioia, consolazione, comunione, salute.

Il Verbo divino, che trascende e abbraccia tutti i tempi e tutti gli spazi, si è fatto vero uomo in un preciso momento storico; ha preso un cuore, un volto e un nome di uomo, Gesù. Anzi, si è fatto uomo ebreo, ha fatto proprie una lingua e una cultura particolari; ha avuto una patria e ha amato in modo speciale alcune città: Betlemme, dove è nato; Nazaret, dove è cresciuto; Cafarnao, dove ha predicato; Gerusalemme, dove è morto e risorto.

Se il Verbo si è fatto carne, il Risorto si è fatto Chiesa. E, prolungando la logica dell'incarnazione, ha voluto che anche la sua Chiesa fosse non solo universale, ma anche particolare. Chiesa particolare è la comunità diocesana riunita intorno al Vescovo. Ma, all'interno, la vita ecclesiale si concretizza ulteriormente nella parrocchia, dove ci si incontra, ci si chiama per nome e ci si guarda negli occhi, dove l'appartenenza può essere sperimentata come in una famiglia.

Il Verbo di Dio, che si è fatto carne e ha messo le sue radici in Israele, vuole che anche i credenti in lui siano ben radicati in una concreta esperienza di comunione, situata in un preciso contesto e nello stesso tempo aperta all'universalità. È essenziale per i cristiani essere uniti intorno a Cristo nella fede e nella carità reciproca.

Si avverte tra le righe del Prologo del Vangelo la commozione, la meraviglia e la gioia dell'evangelista e dei primi testimoni. Commozione, meraviglia e gioia che si ritrovano lungo la storia della Chiesa nei santi e nei mistici cristiani. La Beata Angela da Foligno, grande mistica francescana, sul letto di morte, rivolta ai figli spirituali che la circondavano, esclamò: "Il Verbo si fece carne". Poi rimase assorta in contemplazione per oltre un'ora. Quindi, come ritornando a proseguire il colloquio, aggiunse: "Ogni creatura viene meno. Tutta l'intelligenza degli angeli non basta". Allora gli astanti domandarono: "Non basta per che cosa?". E lei concluse: "Per comprendere".

Come si fa a comprendere un Dio che nessuno ha mai visto? Il Figlio Unigenito, "che è nel seno del Padre" (come dire: nel grembo di una madre), lo ha rivelato: Gesù è la perfetta icona di Dio.

Siamo alla fonte di ogni cosa, come alla prima delle parole sacre della Bibbia; questo Vangelo ci porta in Dio stesso, principio di tutto e di ciascuno di noi, messo nella condizione di essere veramente suo figlio. A noi, uomini di carne e ossa, si apre la possibilità di una vita salvata, redenta, non più disperata, ma piena di senso.

La vita in Dio – dove il Verbo è tutto rivolto al Padre – è anche la sostanza della nostra vita: veniamo da Lui, di Lui viviamo e a Lui torniamo. L'intera creazione ha nella Parola la propria origine, perché tutto è stato fatto per mezzo della Parola. Ma per noi uomini questa Parola è più che per le altre creature: è vita, è luce, ci fa essere e ci fa coscienti di essere, consapevoli del destino di partecipazione alla vita stessa di Dio.

«In principio» ha un significato temporale, ma più profondamente ha il significato della fonte. Ognuno di noi, e ogni persona nel mondo, può sempre, quando ascolta questa Parola, ritornare al Principio o, meglio, essere da questa Parola riportato al Principio: a Dio stesso, e al principio della vita sua personale di povero peccatore, chiamato misteriosamente alla condizione di figlio di Dio.

Fin dal principio è lotta fra la luce che splende e le tenebre che la rifiutano; queste, però, «non l'hanno vinta». È il dramma della storia, ma anche la certezza dell'esito dell'assoluta inferiorità delle tenebre di fronte alla luce. La venuta di Giovanni è vero evento divino. Il Battista, la sua persona e la sua missione, sono eventi divini perché portano e mostrano la testimonianza non attraverso una manifestazione di potenza ma, al contrario, nel segno della piccolezza dinanzi a Gesù, il Messia Salvatore. Proprio il non-essere di Giovanni è il segno prezioso della sua testimonianza.

La luce è quella vera, perché non nascosta e ormai mostrata a noi, per noi. È la prova della fedeltà di Dio alla sua promessa. La luce è vera perché illumina ogni uomo; non c'è oscurità che non viene rischiarata dal dono che è questa luce. Il mondo che vi si oppone dice la struttura della creazione in esilio da Dio e la sua prigionia nel male che dà la morte. A chi accoglie la luce del Verbo è data la grazia di diventare figli di Dio. Non lo si diventa per merito del sangue di animali sacrificati, ma solo per la volontà di Dio.

«Il Verbo si fece carne», quasi annullandosi nella carne della condizione umana, sin la più piccola e ferita (anzi!). Il verbo di Dio si vela nella povertà dell'uomo. Eppure quella carne, l'umanità di Gesù, è la massima rivelazione, sia di Dio sia dell'uomo secondo Dio. Capace perfino di mostrarci la gloria che non era possibile vedere. Questa gloria si è fatta visibile nella sua suprema manifestazione, il Crocifisso. È per mezzo di Gesù Cristo che si sono rese presenti e pienamente manifestate la misericordia e l'amore di Dio.

Mons Angelo Sceppacerca5 gennaio 2025
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