Commento al Vangelo
Domenica 8 settembre
Liturgia: Is 35, 4-7a; Sal 145; Gc 2, 1-5; Mc 7, 31-37Di nuovo, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidone, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».
Gesù, per andare da Tiro in Galilea passa per Sidone. Non è certo il tragitto più breve, ma l'evangelista Marco ci vuol dire che Gesù, missionario del Padre, visita tutti i territori pagani e, in essi, tutti gli uomini in attesa di salvezza. Gesù percorre ogni strada perché ogni luogo aspetta il messia, il liberatore. Ogni luogo significa ogni uomo.
Sotto gli occhi di dieci città portano a Gesù un uomo sordo e muto, perché operi il miracolo. Gesù, prima di tutto, lo allontana dalla folla, poi, toccandogli gli orecchi e la lingua, emette un sospiro e, nel suo aramaico, dice: "Effatà, Apriti". Si realizza la profezia di Isaia: "Dite agli smarriti di cuore: Coraggio! Non temete; ecco il vostro Dio. Allora si apriranno gli occhi ai ciechi e si schiuderanno gli orecchi ai sordi".
L'uomo è la parola che ascolta e alla quale dà risposta. Se ascolta Dio, divinizza; Eva, che diede ascolto al serpente, partorì il primo omicida; Maria ha ascoltato Dio e ha partorito la salvezza per tutto il male del mondo. Se Dio è parola, l'uomo è prima orecchio e poi lingua. Anche i dieci comandamenti, incisi sulla pietra dal dito di Dio, sono preceduti dal comando divino: "Shemà Israel. Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l'unico Signore!". Riaprire l'udito e sciogliere i nodi della lingua sono sì un miracolo, ma soprattutto sono segni del dono battesimale quando l'uomo, diviene figlio di Dio e impara a chiamarlo Padre; professando la sua fede, si fa ascoltatore di Gesù.
Il sordomuto è stato condotto davanti a Gesù. Non poteva avvicinarsi da solo. Non avendo sentito ancora parlare di Lui, come poteva desiderare di incontralo? Anche a noi è successo così. Qualcuno, spinto da Dio, ci ha aperto il cuore alle parole del Signore, ci ha fatto ascoltare e poi ci ha consentito di parlare. La testimonianza – la risposta – viene sempre dopo l'ascolto, e la parola viene dopo che sono state scucite le labbra e riaperte le barriere della sordità. La guarigione del sordomuto è un miracolo faticoso, assomiglia ad un esorcismo. Il sordomuto è condotto fuori dalla folla: si trova solo di fronte a Gesù, come Adamo, il primo uomo plasmato dalle "mani" di Dio, ma non ancora divenuto "essere vivente" (cfr. Gen 2). Gesù lo porta in disparte per evitare i facili entusiasmi della folla – il miracolo non è uno spettacolo! – e perché, a sua volta, l'uomo guarito dovrà udire e professare il mistero di Gesù figlio di Dio. Gesù prima apre gli orecchi al sordo, poi pone la sua saliva sulla lingua del muto il quale, alla fine, tornerà a parlare correttamente. Gesù "fa passare" la sua potenza in quest'uomo malato: la natura è restaurata, le dita e la saliva hanno l'effetto di una "nuova creazione", il sospiro di Gesù da una parte dice la partecipazione alla sofferenza del sordomuto, dall'altro è anticipo della guarigione: "Effatà".
Dopo il miracolo, Gesù comanda di non parlare, ma tutti annunciano quello che è avvenuto e sono stupiti. Colpisce la reazione della folla, che aveva già assistito a grandi miracoli di guarigioni e anche di resurrezione (la figlia di Giairo), solo dinanzi a questa del sordomuto dica: "Ha fatto bene ogni cosa". E in realtà è una sorta di nuova creazione. Gesù vuole raggiungere tutti, fa dei gesti che almeno alludono a quelli del Creatore che plasma Adam impastando la terra con la saliva e soffiandoci dentro lo Spirito. Gesù comandò di non dirlo a nessuno. Esattamente il contrario di quello che di solito facciamo dopo aver fatto il bene. Se proprio vogliamo dire qualcosa, da raccontare è soprattutto il bene che abbiamo ricevuto, quello fatto da Dio. Quello che conta, però, è che Gesù ha guarito il sordomuto e può guarire anche la nostra balbuzie.
Il grande problema dell'uomo è l'ascolto: di lì parte la salvezza. Dopo l'ascolto c'è il parlare: l'annuncio. Finché non viene il dono di Dio, la lingua dell'uomo è come incatenata. Se questo miracolo è un nuovo atto creativo, si comprende anche lo sguardo di Gesù verso il cielo.
Vista, udito, tatto, gusto, olfatto. La fisicità della divinità deve essere presa alla lettera. Le scritture adottano vie di comunicazione a noi familiari. Gli apostoli vedono Dio, lo toccano, sentono la sua voce, ne percepiscono il profumo, condividono il pane nell'ultima cena.
La strada per arrivare alla fede parte dall'apertura del cuore che fa posto al vangelo e arriva alla dichiarazione; in mezzo c'è la saliva di Gesù messa sulla lingua del muto, segno dello Spirito, soffio vitale del Salvatore: Effatà, Apriti! Il gesto della salivaè anticipo di quel Sacramento col quale il Cristo, fino alla fine dei tempi, toccherà la lingua delle sue creature che lo riceveranno, l'Eucaristia.
Il sordomuto risanato è figura della nostra fatica di arrenderci alla fede. Come per il sordomuto, anche la nostra fede è lenta da pronunciare. Ci vuole il gesto di Gesù, il suo sospiro, il respiro dello Spirito di Dio. Se c'è un insegnamento da cogliere nel vangelo di questa Domenica, è la coscienza di essere muti, al massimo balbuzienti: non solo abbiamo un'idea distorta di Dio, ma anche quando abbiamo pensieri buoni e dei propositi giusti, a questi non corrisponde il modo di vivere. Come per il balbuziente, la parola pensata non corrisponde alla parola detta. Così per noi la fede non corrisponde alla realtà che viviamo.
L'azione di Dio sbalordisce e lo stupore confessa che l'opera di Dio è meravigliosa; ogni cosa è meraviglia, quella creata e quella ri-creata. Meraviglia è l'orecchio dell'uomo e la sua capacità di parlare e comunicare; ancora più sorprendente è riaverli una volta perduti. Il miracolo del sordomuto, esclusivo di Marco, è anche parabola e insegnamento delle cose che occorrono all'uomo per fare la volontà di Dio, l'unica opera necessaria: avere orecchi per ascoltare e bocca per lodale. La fede viene dall'ascolto e si esprime nella lode al Figlio di Dio. Le opere ne sono il segno manifesto; se c'è fede ci sono anch'esse.
La sola parola di Gesù riportata in questo miracolo è "Effatà", che vuol dire: "Apriti!". Gesù la pronuncia in aramaico, la lingua di casa, quella che usava per farsi comprendere dalla sua gente. Noi, oggi, sappiamo parlare un linguaggio evangelico comprensibile a tutti?
Benedetto XVI così commentava questo episodio:
Al centro c'è una piccola parola che riassume tutto il messaggio e tutta l'opera di Cristo. Marco la riporta nella lingua stessa in cui Gesù la pronunciò: «effatà», che significa: «apriti». C'è una chiusura interiore, che riguarda il nucleo profondo della persona, quello che la Bibbia chiama il «cuore». E' questo che Gesù è venuto ad «aprire», a liberare, per renderci capaci di vivere pienamente la relazione con Dio e con gli altri. Ecco perché dicevo che questa piccola parola, «effatà – apriti», riassume in sé tutta la missione di Cristo. Egli si è fatto uomo perché l'uomo, reso interiormente sordo e muto dal peccato, diventi capace di ascoltare la voce di Dio, la voce dell'Amore che parla al suo cuore, e così impari a parlare a sua volta il linguaggio dell'amore, a comunicare con Dio e con gli altri. Per questo motivo la parola e il gesto dell'«effatà» sono stati inseriti nel Rito del Battesimo, come uno dei segni che ne spiegano il significato: il sacerdote, toccando la bocca e le orecchie del neo-battezzato dice: «Effatà», pregando che possa presto ascoltare la Parola di Dio e professare la fede. Mediante il Battesimo, la persona umana inizia, per così dire, a «respirare» lo Spirito Santo, quello che Gesù aveva invocato dal Padre con quel profondo sospiro, per guarire il sordomuto.
Ho partecipato alcune volte alla liturgia per i sordomuti. Ci sono persone che con i segni e i gesti "traducono" tutto nel loro linguaggio. Per dire "Dio" uniscono le mani, per tradurre "amore" si tocca il cuore, per indicare misericordia e soccorso si allargano le braccia e poi si riuniscono come nel gesto dell'abbraccio. E loro, gli uomini e le donne privi della parola e dell'udito, non sono emarginati, ma protagonisti. Il fondatore della Piccola Famiglia per i sordomuti, don Giuseppe Gualandi, il prossimo l'ha riconosciuto e ci si è chinato sopra. "Effatà, disse Gesù al sordomuto. Apriti!". E' un ordine del Signore che vale per tutti, perché ad ognuno si riaprano, con gli orecchi e la bocca, anche gli occhi e il cuore.
Mons Angelo Sceppacerca8 settembre 2024