Commento al Vangelo
Domenica 17 marzo - Quinta di Quaresima
Liturgia: Ger 31,31-34; Eb 5,7-9; Gv 12,20-33In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c'erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù».
Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: «È venuta l'ora che il Figlio dell'uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l'anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest'ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest'ora! Padre, glorifica il tuo nome».
Venne allora una voce dal cielo: «L'ho glorificato e lo glorificherò ancora!».
La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire.
I quaranta giorni della Quaresima corrono veloci. Domenica prossima sarà quella delle Palme e quella successiva, infine, Pasqua. Di questo avvicinarsi dei grandi giorni santi è prova il Vangelo di oggi nel quale Gesù stesso dichiara che "è venuta l'ora". Tutta la vicenda di Gesù è lanciata, come una freccia al suo bersaglio, verso quest'ora. E in quest'ora si svela il segreto messianico di Gesù: non è colui che rovescia gli imperi e porta guerra agli occupanti, ma è il chicco di grano caduto e sepolto nella terra e che porterà il frutto della spiga gonfia di pane; Gesù è colui che, inchiodato e innalzato da terra sul palo della croce, attirerà tutti a sé e al Padre. Tutti, non solo gli ebrei, ma anche gli altri, persino i greci.
La versione latina chiama gentiles, cioè appartenenti alle genti e non al popolo eletto, questi greci. Sono persone che la Scrittura chiama timorati di Dio, pagani che hanno conosciuto la fede ebraica e vi hanno aderito; non sono ebrei perché nessuno può diventare ebreo, ma vengono accolti sino a certi livelli nella pratica della fede ebraica. Qui dice che essi "erano saliti per il culto durante la festa".
Filippo e Andrea, i due discepoli interpellati dai greci, sono gli unici, tra i dodici, a portare un nome greco. A loro i greci chiedono di "vedere Gesù". Per un greco dire vedere è lo stesso che dire conoscere (come per un ebreo dire ascoltare è lo stesso che dire conoscere). La loro è dunque una richiesta che deve essere intesa in modo forte, in senso profondo: i greci chiedono la luce della fede.
A qualcuno può sembrare che Gesù non rispose alla richiesta dei greci; sarebbe comprensibile per Lui, consapevole e tutto assorto nell'angoscia della passione imminente. In realtà il suo discorso sul chicco di grano che muore è la risposta più vera e più fedele: vedere Gesù significa vedere la sua sofferenza e la sua croce. Ma per il Vangelo di Giovanni croce e gloria coincidono! La croce, infatti, è l'immensa rivelazione del mistero di Dio, perché Dio è Amore e la croce lo svela pienamente. Ora si capisce il paragone col chicco di grano: se non muore, rimane solo, se muore, porta molto frutto. Tutto il frutto – la salvezza di tutti – viene dalla morte di quel solo chicco di grano, il migliore fra tutti.
In questa legge d'amore, Gesù coinvolge anche i discepoli – quelli che ha davanti a sé, gli apostoli, e quelli che ha davanti al suo cuore, i cristiani di ogni tempo, noi compresi – che lo seguono e che sono chiamati a compiere fino in fondo il loro cammino con Lui, servendolo fino alla croce.
Il destino, l'esito finale del discepolo che segue Gesù fino alla croce, è fortissimo: il Padre lo onorerà! Sono sempre i credenti a rendere onore a Dio. Il Figlio onora il Padre. Qui è il Padre che onora coloro che, in se stessi, rivivono il mistero del Figlio ripercorrendo la sua strada fino alla croce.
La crocifissione non è uno scherzo. È la forma più atroce di tortura e sofferenza. Si capisce bene di che natura possa essere il turbamento di Gesù: è lo sconvolgimento della psiche, l'angoscia dell'anima. Nonostante, Gesù fa prevalere l'abbandono nella fede.
Il grido di abbandono, sulla croce, vertice sconfinato della prova ultima, non è l'abbandono della fede, il grido dello scomunicato, ma l'abbandono nella fede, il grido del Figlio che si getta tra le braccia del Padre e che nella sua ferita – lo squarcio del cuore – riapre tutti i sentieri interrotti dal peccato tra l'uomo e Dio.
Gesù chiede solo che sul suo annientamento risplenda in piena luminosità la gloria del Padre, la verità di Dio: il suo amore di Padre.
Un appello così straziante non poteva restare senza risposta. Il tuono che fa tremare la terra e scuote gli ascoltatori è il Sì del Padre al Sì del Figlio. È una voce tonante che ricorda ed evoca la voce di Dio sul monte della Trasfigurazione. Anche qui si compie il grande mutamento, la più grande delle metamorfosi: la croce – l'agnello immolato – decreta la fine dell'impero di Satana e inaugura il regno di Dio. Gesù toglie l'ultimo artiglio all'antico ingannatore. A Pasqua è Lui che, innalzato da terra, attira tutti a sé. Tutti, anche i greci, i gentili, gli stranieri, i peccatori, gli ultimi, i disperati, gli sconfitti, i disillusi. C'è posto per tutti e per ognuno nella pasqua di Cristo, perché non manca nessuno nell'amore di Dio.
È la domenica del chicco di grano, che sa morire, amando, per non restare solo. Francesco d'Assisi l'aveva compreso bene, fino al punto di ricevere nella sua stessa carne le ferite di nostro Signore: "È dando che si riceve. È amando che si viene amati".
Mons Angelo Sceppacerca17 marzo 2024