Commento al Vangelo
Domenica 29 novembre - Prima di Avvento (B)
Liturgia: Is 63, 16-17.19; 64, 2-7; Sal 79; 1Cor 1, 3-9; Mc 13, 33-37In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare.
Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all'improvviso, non vi trovi addormentati.
Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».
Inizia un nuovo anno della liturgia, della preghiera. Inizia il tempo d'Avvento, l'attesa del Natale, di quel bambino figlio di un Dio che ha fiducia di noi e che non si stanca di esortarci a stare svegli per cogliere la vita nell'attimo che passa e che porta in sé la pazienza di Dio il quale non vuole che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi e che la sua casa sia piena.
In questo nuovo anno della liturgia sarà proclamato, domenica dopo domenica, il Vangelo di Marco che offre un ritratto attendibile del Gesù storico e che è alla base (in questo senso si dice che esso è una fonte decisiva) di tutti i Vangeli "sinottici" (Marco, Matteo e Luca). In questo senso si può dire che il Vangelo di Marco è il più originale tra gli evangelisti: tutto incentrato sul "segreto messianico", alla luce della Pasqua (morte e resurrezione di Gesù) svela progressivamente il mistero dell'uomo Gesù, il Cristo atteso, ma anche l'inatteso Figlio di Dio. Da una parte, il Vangelo di Marco ci introduce nel mistero di Gesù; dall'altra ci ricorda che questo mistero (Gesù Figlio di Dio) rimane pur sempre tale poiché non risponde a nessuna domanda dell'uomo, ma è sempre il libero dono che Dio fa di se stesso nel Figlio crocifisso.
Nell'attesa d'Avvento bisogna vegliare con fedeltà operosa. Il tempo è cammino, sequela di Cristo. A differenza di chi perde tempo dietro a date e scadenze oppure, disilluso di tutto, non aspetta più niente e nessuno, il discepolo di Gesù sa cosa fare: mettersi al servizio.
Anche il Figlio di Dio, come noi, non conosce l'ora e, con noi, veglia. Rimanere svegli è segno di responsabilità perché, avendo ricevuto il potere e i compiti dal Signore, è nostro dovere essere attenti, pronti, attivi e operosi. Abbiamo molto da fare, ma per questo ci è stata data la giusta potenza e capacità di compiere l'opera.
Ma questa è la fede! Il tenere gli occhi aperti è la coscienza dell'assoluta signoria di Dio e della nostra accoglienza. L'opera non mi appartiene, mi è stata affidata. Altro che fede ingenua e irresponsabile, tanto c'è Dio! La fede è umile perché siamo servi, ma dichiara la nostra condizione di figli di Dio. Non è fuga dalla storia, ma piena immersione in essa. Il fatto di non sapere quando il padrone di casa ritornerà, fa sì che ogni tempo diventa il tempo di Dio perché tempo della sua presenza e tempo per il nostro servizio. Essere immersi nella storia significa avere responsabilità e vigilanza. Servire con fedeltà è il meglio per aspettare la fine; la vigilanza riempie il presente del futuro, anche le cose più ordinarie e umili.
Alla mamma che domandava a san Luigi Gonzaga (6 anni) mentre giocava a palla che cosa avrebbe fatto se avesse saputo che sarebbe morto un'ora dopo, lui rispondeva: "Continuerei a giocare". Quel "gioco" lo porterà a ricevere la venuta del Signore pochi anni dopo, mentre soccorreva la malattia con gli appestati di Napoli.
Il vangelo descrive la vigilanza con tre espressioni: la partenza del padrone della casa dopo averla lasciata ai servi; la consegna ad ogni servo di un'opera e del potere per compierla; l'ordine di vigilare. La fede è pienezza di responsabilità: quello che il Signore mi ha affidato, è come fosse proprio mio.
Mons Angelo Sceppacerca29 novembre 2020