Commento al Vangelo
Domenica 13 ottobre
Liturgia: Es 16, 2-4.12-15; Sal 77; Ef 4, 17.20-24; Gv 6, 24-35Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?».
Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell'uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l'opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».
Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!
Cercano Gesù. Non li muove la fede, ma una curiosità superficiale. E Gesù li invita ad un livello più profondo di incontro, rimproverandoli che nella moltiplicazione dei pani non avevano intravisto la sua divinità. E se Lui non è Dio a cosa serve il resto?
C'è spesso folla attorno a Gesù. Mai però anonima. Noi stessi non siamo più anonimi in una folla anonima: ognuno è insostituibile davanti a Dio. Non siamo più soli in un universo gelido e vuoto, insensibile e sordo, come suggerisce il lamento del grande poeta francese Paul Valery, ma che ben esprime il bisogno di Dio che si annida nel cuore dell'uomo moderno: «Solo. Sempre più solo. Tutte le cose mi circondano, ma non mi toccano affatto […] Se ci fosse un Dio, visiterebbe, credo, la mia solitudine, mi parlerebbe familiarmente nel mezzo della notte». In Gesù Dio è venuto davvero a visitare la nostra solitudine; è venuto a parlarci nel mezzo della notte.
Lo sguardo del vangelo oggi è sulla gente, che segue i movimenti di Gesù e dei discepoli. Prima essa nota che i discepoli sono andati via da soli, poi che non ci sono né Gesù, né i discepoli e allora si mette alla ricerca di Gesù, una ricerca che gli tutti gli uomini fanno, perché hanno bisogno di lui. Gesù non critica la ricerca, ma ne corregge la direzione: non cercare il cibo che perisce, ma quello che rimane per la vita eterna e che è Lui stesso.
Poca cosa la ricerca affannosa per il pane che sfama il corpo; serve cibo per la vita eterna. Qualcosa che assomigli ad uno zampillo immortale. La rivelazione del Verbo incarnato, unita ad una vita di fede profondissima è un'opera di Dio, dunque eterna. La gente chiede: "che cosa dobbiamo fare". Una mentalità giudaica legata al fare, alle opere, ai segni prodigiosi. Gesù oppone la sola opera giusta: la fede nella sua persona. L'oggetto della fede è lui, inviato dal Padre e pane dal cielo.
La folla che raggiunge Gesù a Cafarnao, al di là del mare, pone due domande sulle opere da fare: che cosa dobbiamo fare noi? che cosa fai tu?. Gesù prova a dire che Dio solo opera, "fa": manda il Figlio e il Figlio soltanto obbedisce al padre e dà la sua vita per il mondo. Anche nella storia degli israeliti e di Mosè, in fondo, quello che ha fatto tutto è stato sempre «il Padre mio».
Siamo riportati sempre all'incontro con Dio; tutto si raccoglie nello stesso avvenimento di salvezza: il dono che Dio fa di se stesso all'umanità. Il dono di Dio è sempre Gesù, sia nel segno dell'acqua-fonte per la samaritana, sia nel segno del pane. Venire a me equivale a credere in Lui.
Se crediamo che il Cristo risorto ci è vicino, quale migliore compagno di viaggio potremmo desiderare? Questa è la ragione perché la domenica i cristiani hanno la necessità di andare alla Messa: per ascoltare la parola e ricevere nell'Eucaristia il pane vivo disceso dal cielo. Non da una semplice obbligazione morale, ma dalla comunione con Cristo nasce il desiderio di aiutare gli altri e di condividere con loro anche la gioia della fede.
Il Signore non si vede, non si sa dove sia andato. In realtà la Scrittura dice sempre la stessa cosa: è Dio che cerca l'uomo e non si dà relazione col Padre se non attraverso Gesù. Il cibo che dura sempre è trovare Lui dentro la nostra vita. La sua presenza dà valore ad ogni persona e ad ogni esperienza, è il significato di tutto, anche della malattia. Un evento che va riconosciuto ogni giorno, un fatto continuo, non più una memoria. Deve diventare un alimento quotidiano, bisogna vedere nella realtà quotidiana una realtà divina.
Il pane di Dio è colui che discende dal cielo. In questa discesa c'è anche tutta l'umiliazione, l'annullamento, la kenosi, che il Figlio fa nel dono di sé; forse è qui lo scandalo che rende difficile l'atto di fede. Come il Figlio ha obbedito al Padre scendendo dal cielo e dando la vita al mondo, così anche i discepoli debbono "venire" a Lui, credendo in Colui che il Padre ha mandato. Certo, il pane richiama l'Eucaristia; ma tutta la persona del Signore è posta nel mistero del pane della vita. Un pane così lo si chiede, ma non lo si compra. E' sempre un dono, come la fede, il vedere.
La presenza più intensa e completa del Signore Gesù è quella eucaristica: «Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno». C'è continuità tra l'Incarnazione e l'Eucaristia, tra il Bambino della mangiatoia di Betlemme, il Crocifisso Risorto della Pasqua e il Santissimo Sacramento dell'altare. Anche la povertà della mangiatoia e della croce si ritrovano nella povertà del segno sacramentale: un pane dato a mangiare e un po' di vino dato a bere. Anzi se nel Bambino e nel Crocifisso si nascondeva solo la divinità di Gesù, nell'Eucaristia si nasconde anche la sua umanità. E noi, superficiali, distratti e indifferenti, non ci accorgiamo che Cristo è in mezzo a noi.
Accogliere Gesù come pane della vita disceso dal cielo significa credere in lui e mangiare la sua carne e bere il suo sangue. La spiritualità cristiana è biblica ed eucaristica, come la Messa è in due parti, liturgia della Parola e liturgia Eucaristica. Ci sono – purtroppo – Messe senza cristiani, ma mai cristiani – veri – senza la Messa.
Il vangelo è un'indagine su Gesù. Una ricerca di Lui, non dei discepoli. Anche la Chiesa deve ricordare che il Signore è l'oggetto della ricerca. In realtà è Dio che cerca l'uomo, ma non si dà nessuna relazione col Padre se non attraverso Gesù. Lui è il significato di tutto. Anche della manna mangiata dai padri nel deserto: "la manna sono io".
Mons Angelo Sceppacerca13 ottobre 2024